In quanti modi puoi dire la stessa cosa? Chiunque utilizza facebook (quindi chiunque) viene colpito da una grave forma di analfabetismo funzionale. No, non è una cosa grave perché riguarda la modalità di accesso al “medium” facebook, le cui caratteristiche di fruizione richiedono una velocità tale da renderci sempre più difficile capire quello che leggiamo.
Diventiamo un po’ stupidi, ma solo finché restiamo connessi. La memoria si accorcia, la capacità di discernimento vacilla, il caos prende forma nelle conversazioni tra utenti distratti. Ma come avviene questa magia?
L’attenzione frazionata
È davvero semplice da spiegare. Facebook ci mette davanti troppe più opzioni di quante riusciamo a tenerne sotto controllo. Il sistema delle notifiche limita il tempo utile per approfondire il singolo post. Non è dunque questione di lunghezza del messaggio, anche se questa può influire sulla comprensione generale. È che le persone sono annebbiate dall’idea che da qualche parte in questo mondo magico si nasconda il messaggio da cogliere assolutamente, quello importante. Ma in questa corsa cieca si finisce col dare risposte approssimative, col cliccare a vuoto su pagine inutili, col rispondere male a chi non se lo merita. Ma rammaricarsi della superficialità dei commenti su facebook è come dire che l’acqua è troppo umida. Non è colpa delle persone. È questo social con tutte le sue opzioni a renderci cosi poco attenti e spesso poco rispettosi delle parole altrui.
Facebook e la logica del click bait
Il social più utilizzato in Italia è terreno fertile per i titoli acchiappa click. Quella che segue è una considerazione amara, ma credo doverosa sull’andamento della comunicazione di flusso nell’epoca digital interattiva a trazione turbocapitalistica. Ecco.
Qualche tempo fa Wired ha pubblicato un articolo sull’allarmismo forse eccessivo nei titoli dei giornali online. L’articolo fa una disamina accurata dei termini più spesso utilizzati per fare clamore a partire dai titoli degli articoli concepiti proprio per fare traffico attraverso la condivisione su facebook. L’amarezza sta nel fatto che a quanto pare anche le grosse testate si sono dovute piegare a queste pratiche che a conti fatti rispondono a necessità di natura commerciale. I giornali devono sostenersi e per farlo ricorrono alle inserzioni pubblicitarie. Devono fare traffico. In questa logica purtroppo e tristemente l’articolo di approfondimento classico, quello dal taglio giornalistico più tradizionale, quello che richiede lavoro, sembra spesso funzionare meno del contenuto di poche righe aperto da un’intestazione ad effetto la cui prima parola è “CLAMOROSO…”.
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Quante volte ti sei trovato a condividere l’articolo di una grossa testata online aprendo il post con le parole “Pensavo fosse Lercio, invece…”. E dov’è finita la rispettabilità dei grossi giornali? In effetti posso capire queste scelte. I grossi giornali non hanno smesso di pubblicare “grossi” articoli, semplicemente hanno capito che il traffico da facebook va “dove lo porta il click”.
Il rumore di fondo
Se l’accelerazione di questo medium ci porta a comportamenti da scimmia ammaestrata, può avere senso cogliere l’opportunità di farci qualche soldo, salvo che però così facendo si innesca una spirale che come un circolo vizioso finisce con l’aumentare il rumore di fondo e con esso la dispersività di questo social. Finirà che ci stancheremo e abbandoneremo facebook in massa.
E magari.
Ma esisterà il modo di catturare l’attenzione e proporre allo stesso tempo un contenuto con caratteristiche tali da innescare discussioni sensate tra gli utenti? Insomma, si può creare valore a partire da un titolo acchiappa click? Domanda retorica lo so, ma prima ho scritto “turbocapitalista”, quindi ci sta. Certo che sì, anzi, a maggior ragione un contenuto di valore deve avere un titolo acchiappa click.
Il titolo acchiappa click sui contenuti evergreen
Immagina di usare i classici termini come “shock”, “devastante”, “sorpresa”, “sogni”, “incubo”, “allerta”, “rischio”, “strage”, “folle”, “finimondo”, “inferno” e “incredibile” per aprire pagine che invece di essere di poco conto sono in realtà contenuti di approfondimento tecnico su di un tema che riguarda il tuo business. In questo momento storico non c’è più bisogno che lato SEO il titolo contenga esattamente la parola chiave per cui ti vuoi posizionare perché Google riesce a cogliere sempre meglio il senso e l’area di interesse di un testo. Il senso è dunque sfruttare il titolo per spingere traffico non solo sulle notizie, ma anche proprio sui contenuti evergreen, quelli che punti a posizionare nel tempo e che mirano a farti guadagnare traffico in modo incrementale.
Se il titolo è buono, se funziona di per sé, potrai riproporlo periodicamente all’attenzione degli utenti su facebook e prenderti sia il traffico dal social che quello da Google. Ma c’è di più: le ondate di traffico che riesci a produrre in momenti diversi attraverso facebook possono generare segnali tali da consolidare o anche migliorare il posizionamento su Google, quindi le cose sono in parte collegate.
Divide et traffica!
Ti lascio con un piccolo suggerimento sulla composizione dei titoli da click bait. Premettendo che auspico un futuro in cui vengano usati per spingere gli utenti verso pagine realmente interessanti, una buona idea potrebbe essere puntare sull’istinto primordiale di abbracciare una bandiera e osteggiarne un’altra. I titoli che istigano al confronto tra fazioni funzionano sempre perché entrano nel merito degli interessi contrapposti, delle tifoserie e del rapporto fintamente oggettivo che esiste tra il concetto di giusto e sbagliato. Le dinamiche di ingroup/outgrup che si studiano in psicologia sociale vengono amplificate dal medium facebook fino a permettere la nascita di faide sanguinose (virtualmente parlando) anche per decidere di che colore è il cielo sopra di noi.
Chiaramente azzurro, come l’header di facebook.