Esiste una vasta serie di non detti che riguardano i comportamenti attesi in situazioni diverse. Tra queste c’è senza dubbio l’incontro per motivi di lavoro tra persone che si trovano ad essere interlocutori nel corso di una trattativa. Che si tratti di un colloquio pre assunzione, di una call conoscitiva con un possibile partner/cliente, di una sessione di formazione o di un allineamento con un cliente già acquisito da tempo, ho notato che sta cambiando qualcosa nell’approccio alla conversazione.
Mi riferisco in particolare alla famosa domanda di rito “come va?” che può certamente essere posta in modi diversi, ma che in ogni caso è praticamente immancabile nel primo scambio comunicativo tra i parlanti. Devi sapere che per lavoro sento e vedo molte persone in videoconferenza ogni giorno e negli ultimi mesi ho visto cambiare la tipica risposta a questa domanda d’apertura. Ma facciamo un passo indietro.
Perché si chiede come va?
Solo per rompere il ghiaccio. Quando due persone si incontrano c’è questo primo contatto che serve più che altro a palesare la propria disponibilità al dialogo. In genere a nessuna delle due persone coinvolte interessa davvero conoscere lo stato emotivo o di salute dell’altro, quindi – giacché entrambi sanno questa cosa – la risposta più frequente è “tutto bene grazie”, anche se nei fatti hai appena scoperto che tua moglie ti tradisce con il professore di sociolinguistica.
Detto questo, nell’ultimo anno sto vedendo nelle persone con cui mi confronto un cambiamento interessante rispetto al classico “come va” che apre le conversazioni in videoconferenza. Non è per niente insolito infatti che dall’altra parte ci sia qualcuno che mi risponde in negativo, usando frasi del tipo “ma sai, oggi sono davvero stanco”, oppure “non troppo bene, abbiamo un problema da risolvere” etc.. Tutti hanno problemi e in ogni caso poi scopro sempre che non è niente di grave, ma la cosa sorprendente è che percepisco questo cambiamento del “come va?” che non è più visto come una domanda rompi ghiaccio.
Come stanno cambiando le conversazioni di lavoro (e non solo quelle mi sa)
Ora possiamo pensare che la pandemia ci abbia colpiti al punto che la mancanza di vita sociale sia talmente dura da sopportare che le persone non riescono nemmeno più a trattenere il disagio e pertanto lo tirano fuori alla minima occasione, anche nel corso di una skypecall esplorativa per una consulenza SEO. Questo può voler dire che stiamo soffrendo, che ci abbrutiamo, che saltano perfino le convenzioni come i non detti che da sempre caratterizzano gli scambi relazionali. Ed è male molto male.
Un’altra chiave di lettura
Quella che segue è solo una mia interpretazione alternativa, forse complementare del fenomeno che sto vivendo negli ultimi mesi. Premettendo che credo sia vero quello che ho scritto prima sulle conseguenze negative di un certo tipo di segregazione con l’annessa carenza di socialità, mi sembra di vedere anche dell’altro. È come se da un lato stessero cadendo un po’ di convenzioni su come è giusto comportarsi in un sistema di attese condiviso e dall’altro, è come se alle persone interessasse davvero sapere come stanno gli altri.
Non è più un generico “come va”, ma proprio un sentito “come stai?” a cui le persone non rispondono più con una frase di circostanza, ma con la verità. Ne emerge un quadro in cui la sofferenza e i disagi procurati dalla pandemia fanno sparire gli orpelli e tirano fuori tutto il bisogno di contatto che c’è e che non si esprime più come prima, per forza di cose.
A me è sempre interessato sul serio sapere come stesse il mio interlocutore, ma io faccio SEO e lavoro a casa, quindi vivo rinchiuso indipendentemente dal fatto che fuori ci sia o meno l’apocalisse.
L’altra sera sono sceso in pizzeria per l’asporto. La cassiera mi ha chiesto “come va?” e io sorridendole con gli occhi le ho risposto “bene, benissimo”. È rimasta spiazzata per qualche secondo. Non si aspettava una risposta così bella… e ancora non mi spiego il perché.