C’è stato un tempo in cui si finiva col perdere visibilità e traffico a seguito di un update di Google. Succede anche oggi, ma la differenza con il passato è che prima probabilmente te lo meritavi, mentre oggi un peggioramento nei ranking a seguito di un core update appare spesso più difficile da spiegare, soprattutto quando poi si va a guardare chi è venuto fuori al posto tuo. Proviamo a fare il punto e cerchiamo di capire come uscirne in base alla situazione. Pronti, via.
Hai uno shop online?
Gli update di Google riguardano più frequentemente i contenuti informativi, ma anche le pagine transazionali come quelle di categoria o le stesse schede prodotto dei siti e-commerce possono rientrare nelle logiche di aggiornamento. Per la mia esperienza, negli ultimi anni Google va a preferire il tutto e subito, dunque a beneficiare degli update più recenti sarebbero le pagine web che offrono quante più informazioni di natura commerciale al minor “costo” possibile in termini di peso. Aiuta inoltre avere un layout chiaro e in generale una buona usabilità del sito, soprattutto a fronte della rilevanza data dai segnali Nav-Boost che riguardano i click egli altri dati collezionabili attraverso la telemetria di Google Chrome. Segnalo inoltre che le pagine di categoria con più prodotti listati sono anche quelle che trovo più spesso tra i posizionamenti migliori sulle query transazionali.
Da ultimo, il testo in pagina, da porre al di sotto del listing dei prodotti nelle pagine di categoria, è forse l’elemento dalla resa meno lineare di tutti, perché in alcuni casi sembra effettivamente produrre più miglioramenti di posizione e in altri meno, dunque in questo caso potrebbe ragionevolmente esserci un’incidenza legata al segmento di mercato o alla combinazione di altri fattori. Comunque, per me il testo in pagina nelle categoria degli shop online è sempre da provare.
Hai un blog o magazine?
Per quanto riguarda le query informative, la faccenda si fa ancora più seria, perché parliamo principalmente di blog e magazine che pur facendo un ottimo lavoro, possono perdere tutto di punto in bianco, soprattutto nell’ultimo anno e mezzo, in coincidenza con la diffusione delle tecnologie che consentono di automatizzare la stesura dei testi. E ne approfitto per ricordare che i contenuti testuali sul web, generati da IA (inclusi quelli tradotti da IA) sono arrivati a 57% del totale.
Prima che questo dato percentuale di tramortisca, c’è comunque da dire che lo studio menzionato da Forbes, parla di traduzioni fatte automaticamente e non della completa produzione di testo. In particolare l’AI è chiamata in causa per quanto riguarda il training, infatti ci si preoccupa delle conseguenze sul training di un modello, se i dati di partenza sono traduzioni automatiche (non basate sull’AI) di bassa qualità.
L’idea che mi sono fatto è molto più semplice: le posizioni in prima pagina su Google sono circa 10. Se a un certo punto i player che competono sulle stesse serp passano da 30 a 60 e se tra questi 60 quasi tutti hanno buone performance, buoni contenuti, buona SEO e buona link building, Google sarà costretto a fare scelte di ordine diverso, offrendo visibilità:
- ai siti editoriali che hanno il brand più forte;
- ai siti editoriali che fanno riferimento ad aziende che rivendono prodotti o servizi.
Se dunque hai già un blog che da un certo momento in avanti è andato a spegnersi gradualmente, è molto probabile che Google abbia valutato che si tratta di un sito web presente in quella gigantesca fascia di mezzo, ormai del tutto satura di contenuti di cui dobbiamo ringraziare ChatGPT e similari.
Come? hai solo contenuti rigorosamente sviluppati a mano con uno storico di grande visibilità organica? Non importa, Google ha deciso che stai lì, insieme all’oceano sconfinato di pagine web sostituibili, perché non hai un brand, né rivendi direttamente prodotti o servizi.
Spesso a questo punto scattano i lamenti anche un po’ complottari da parte di blogger evidentemente defraudati del loro traffico da una oscura enclave che tutto controlla alle nostre spalle. Sono umanamente molto vicino a queste persone, molte delle quali sono amiche, persone con cui ho talvolta sofferto per mesi cercando recuperi difficilissimi.
A fronte di quello che ho potuto vedere, le ingiustizie ci sono state, inutile nasconderlo, ma allo stesso modo dobbiamo dire che Google non può toglierti un pubblico che non hai. È un po’ la storia di cui parlavo qualche tempo fa descrivendo la differenza tra essere visibili ed essere popolari. Lo sforzo profuso negli anni per scrivere contenuti, curare la SEO e acquistare qualche backlink qua e là, tralasciando il MARKETING in senso lato, oggi – in realtà da un anno buono – non basta più, semplicemente perché ci sono troppi siti che dicono la stessa cosa con troppe pagine e che continuano a scrivere contenuti, fare SEO e comprare qualche backlink qua e là.
Tradotto: se gli utenti fruiscono le tue pagine senza sapere chi sei, preparati, perché presto o tardi perderai visibilità. È solo questione di tempo.
E aggiungo che mi sono stancato di dire a queste realtà che occorre investire in altro che non siano sempre contenuti e SEO, per cui, avendo recentemente perso anche l’ultimo cliente titolare di magazine tematici, ed essendoci rimasto anche male, giacché sono persone a cui voglio bene, da oggi smetto di prendere in carico la SEO in itinere dei magazine, per concentrarmi solo sugli audit una tantum e sulle analisi SEO in itinere per aziende di prodotti e servizi.
Vediamo se così è più chiaro.