Chiedersi se la SEO sia morta, penso sia una delle cose che porta in assoluto più attenzione sulla disciplina dell’ottimizzazione per i motori di ricerca. È molto semplice. Un giorno ti alzi dal letto e cominci a dire ad alta voce che la SEO è morta, poi scendi nel tinello, dai un bacio ai tuoi e ripeti a tutti con garbo la stessa cosa: “sapevate che la SEO è morta?” Tua moglie senza neanche guardarti, impegnata com’è a correre appresso ai tuoi due bambini piccoli, ti dirà di sfuggita qualcosa come “ti trovo strano ultimamente”, per poi sparire ad aggiornare i contenuti del sito web sull’import/export di profughi ceceni.
A quel punto apri facebook e lo dici a tutti, così senza mezze misure, “ragazzi, la SEO è morta”, generando curiosità in alcuni e apprensione mista ad attimi di disperazione profonda negli altri. I SEO reagiranno per lo più dicendo “sarà pure morta, ma se Google non riesce ad avere un buon rendering delle pagine del tuo sito web perché trova i file .css e .js bloccati, chi chiamerai a mettere a posto le cose? Topo Gigio? (lo vogliono tutti da lui). Gli imprenditori che pagano ogni mese fior di quattrini alle agenzie di web marketing per farsi curare la SEO, si sentiranno presi in giro da chi quei soldi continua a chiederglieli, così come chi studia SEO da poco, proverà un’improvvisa sensazione di vuoto pensando alle migliaia di euro investite per quel master miracoloso da cui si aspettano grandi cose. Tutto un bluff?
Perché ogni tanto la SEO muore?
È inevitabile. Un po’ succede perché il mercato del web richiede performance e ritorni sempre più immediati, un po’ perché ci confrontiamo con un motore di ricerca sempre più complesso, del quale ricordiamolo, abbiamo linee guida, ma non il libretto delle istruzioni, ma soprattutto, una delle cose che a detta di molti finisce coll’ammazzare la SEO è lo svilupparsi delle dinamiche social che finiscono con lo spostare l’attenzione verso il web delle relazioni, rendendo la vecchia SEO fatta di codice e accorgimenti tecnici, sempre meno rilevante rispetto a ciò che Google valuta essere meritevole di un buon ranking.
Per “chi” muore la SEO?
Secondo me è esattamente qui che casca l’asino. La SEO muore per chi non sa stare al passo coi tempi. È verissimo che per tanti aspetti il motore di ricerca funziona ancora come dieci anni fa (è può essere ancora fregato come accadeva dieci anni fa), ma nel frattempo siamo piombati in un ordine di cose in cui la rilevanza dei singoli fattori di ranking sta cambiano in favore dei contenuti e delle relazioni tra chi scrive e chi legge. Come dire che nel web delle cose e delle relazioni, le persone contano sempre di più rispetto al codice. Google è un software, verissimo, programmato per valutare documenti web sulla base di:
- quanto sono utili
- per chi
I segnali
In questo panorama funesto (giacché si parla di morte), uno degli elementi che fanno pensare alla dipartita della signora SEO, è che i link di media entità non spingono più come prima. Non è opinione solo mia, ma di tanti operatori che sto sentendo in questo periodo, che Google stia dando sempre più peso ai segnali “naturali” come le menzioni, magari autorevoli, scansionabli (chiaramente) e presenti nelle piazze giuste. Google è sempre più bravo a determinare il significato dei topic discussi sui siti pertinenti, così come riesce sempre meglio a determinare i tentativi di manipolare il social graph con le menzioni finte, magari automatizzate tramite software.
Conclusioni
Per una vecchia SEO che muore, ne nasce una nuova, fatta sempre di codice, ma anche di valore, strategia, engagement. Una SEO più che mai viva, in cui le mie riflessioni sulla semantica incontrano le strategie editoriali dei content manager e dei social media cosi. Una SEO convergente e multidisciplinare che contrariamente a quanto puoi credere, richiede più acume e furbizia di quanta possano averne i SEO black hat nell’architettare (sempre gli stessi) imbrogli.