Francesco Gavello è un consulente a cui non servono presentazioni. Già esperto di conversioni, buyer’s journey e Search engine marketing, ha scritto un libro su Google Ads che sintetizza tutto ciò che ha appreso negli ultimi 10 anni.
Un patrimonio assoluto di conoscenza che sarebbe riduttivo chiamare solo “manuale operativo”. Eccovi il resoconto della nostra ultima chiacchierata.
Ciao Francesco, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?
Ciao Francesco, grazie per l’invito. È davvero un piacere essere qui!
Mi occupo di advertising e di web analysis, in Google Ads e Google Analytics.
In due parole? Aiuto le aziende a trovare il loro prossimo cliente in rete.
Il mio focus è sulla CRO, la Conversion Rate Optimization. Buona parte dei miei clienti sono e-commerce di dimensione medio/grande – ancora meglio: ad alta potenzialità – che stanno cercando di migliorare tasso di conversione, carrello medio e Lifetime Value dei loro clienti.
Non riesco a smettere di chiamarlo AdWords, hai suggerimenti per me?
In effetti succede, quando ti trovi di fronte a una piattaforma che ha ormai più di vent’anni (ho controllato). E che decide, tutto d’un tratto, di rinnovare nome e layout. Certe cose non si fanno. 🙂
Il tuo ultimo libro è un manuale operativo o una serie di best practice? Ce ne parli?
Google Ads – annunci ricerca e display, edito da Dario Flaccovio Editore (luglio 2020) è insieme un manuale operativo e una sintesi di tutto ciò che ho imparato come consulente e formatore in aula e online, insieme a professionisti e aziende, nel corso degli ultimi dieci anni.
Anticipo la domanda: “Come può uno strumento mutevole come Google Ads venire racchiuso in un libro?”. Beh, diciamo subito: il libro non contiene soluzioni magiche, benché meno pronto uso.
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Non ne contiene perché il marketing è in primo luogo sperimentazione e ogni business fa storia a sé. Tra le pagine non trovi indicazioni su quanto budget impiegare sulla tua prossima campagna, né ti rivela l’unico segreto per scrivere un annuncio imbattibile.
Racconta invece come ottenere da solo queste risposte.
Come iniziare a pensare come un advertiser.
E veniamo al tema “pandemico”, chi sono i winner e i loser tra gli inserzionisti?
Parlare di advertising in mesi come quelli che stiamo vivendo è complicato perché si rischia di banalizzare il tema o di dare l’impressione che la soluzione sia a portata di mano.
Trovo però che uno spunto interessante possa essere questo: in advertising, pandemia o meno, vince chi sa far evolvere la propria strategia sulla base di pochi, chiari dati che permettono di prendere continuamente decisioni consapevoli.
Saper leggere i dati, specie quando le cose vanno bene, è fondamentale per comprendere perché le cose vanno bene. E farsi trovare pronti quando emergono importanti indicatori di un cambio di scenario. Perché lo scenario, pandemia o meno, è sempre in continuo mutamento.
Rispetto al momento attuale, trovi più o meno limitazioni (censura) rispetto al contenuto degli annunci?
Le piattaforme pubblicitarie – tra cui anche Google Ads – sono sempre state estremamente attente rispetto al tema medicale e all’uso di diversi strumenti e approcci – penso al remarketing, ma non solo – nel promuovere prodotti o servizi legati alla sfera della salute.
In questo senso, non direi di aver notato nuove limitazioni rispetto al contenuto degli annunci, salvo una maggiore attenzione alle norme – sempre rimanendo sul tema medicale – pensate per proteggere l’utente da forme di advertising troppo spinto in un momento di comune debolezza.
I grandi brand cominciano ad avere shop interni. Credi sarà un grosso problema per i rivenditori?
Credo che i mesi che stiamo vivendo abbiamo accelerato processi che, naturalmente, avrebbero impiegato molto più tempo per completarsi. In un certo senso, è come se al momento stessimo vivendo nel futuro di quattro o cinque anni!
Credo che tra i grandi brand si stia affermando la consapevolezza di poter fare, anche in casa, buoni numeri. Senza pretese irrealistiche nel voler sbancare tutto e subito, ma ponendo le giuste basi per iniziare a essere un po’ più indipendenti dalla visibilità e portata dei grandi rivenditori online.
L’aspetto critico che però vedo è: in rete non c’è granché spazio per due player che fanno la stessa identica cosa.
Se da cliente mi trovo di fronte due rivenditori – che, semplificando, ancora non conosco – che cercano di vendermi lo stesso prodotto, li valuterò sulla base di alcuni primi fattori: credibilità del sito, prezzo del prodotto, presenza di spese accessorie, riprova sociale e molto altro.
Naturalmente ogni fattore ha un peso diverso, che cambia se il prodotto che sto cercando è poco più di una commodity o qualcosa di più ricercato e costoso.
Se nell’equazione aggiungo anche il brand ufficiale con un suo e-commerce proprietario, e questo fa le cose per bene pareggiando l’offerta in quanto a prezzo e meccaniche di spedizione, beh, diventa automaticamente il mio primo punto di riferimento.
A costo di banalizzare: perché aggiungere un intermediario?
Qual è, in questo scenario, il peso e il ruolo del rivenditore nei confronti di un cliente finale, a cui questo dualismo importa poco?
Perché, da cliente, dovrei passare da un rivenditore quando è il brand stesso a voler avere, adesso, una relazione con me, con tutti i vantaggi del caso?
È questo, dal mio punto di vista, l’aspetto più interessante da tenere d’occhio.
Non sarà tanto uno scontro sui tecnicismi, ma sulla capacità di generare e conservare fiducia da parte di un’audience di riferimento. Sarà più semplice per un brand con il proprio e-commerce, sarà una sfida per un rivenditore.
Qui mi fermo con le predizioni, perché solo il tempo ci dirà se avremo avuto buon occhio. ☺
A presto,
Francesco