Quanto conta per il posizionamento organico il fatto che l’autore di una pagina web presente su un certo sito sia un professionista riconosciuto e apprezzato nell’ambito su cui scrive? C’è chi dice tanto e chi poco o niente, dunque mi pare il caso di fare qualche riflessione anche storica su come (e se) funzioni questo meccanismo di attribuzione e a quali condizioni si può dire che generi differenze sul ranking organico nelle serp di Google.
Oggi parliamo del vecchio concetto di author rank, vale a dire il principio alla base del posizionamento per autore. Per ragionarci dobbiamo fare un bel salto indietro nel tempo fino al 2012, anno in cui Massimo Marchiori lanciò il motore di ricerca Volunia, realizzato in collaborazione con una piccola équipe di studenti ed ex studenti dell’università di Padova. Il motore di ricerca “italiano” avrebbe dovuto rivoluzionare il modo di fare ricerche, perché era in grado di stabilire relazioni tra gli autori delle pagine web. In questo modo la rilevanza del contenuto non era più data solo in base alla qualità intrinseca dello stesso, ma anche in virtù del network di relazioni in cui si collocava l’autore. Boom!
Poco dopo Google lanciò l’authorship, giustappunto il concetto di paternità di un contenuto web che veniva associato all’account Google Plus dell’autore. In questo modo Google aveva un’associazione semantica forte tra:
- Autore della pagina
- Pagina
- Network relazionale dell’autore
Rappresentava un enorme passo in avanti rispetto alle logiche del web semantico, perché da quel momento era possibile pesare quantitativamente l’importanza di un autore sulla base del consenso riconosciutogli da altri che a loro volta potevano essere più o meno “pesanti”. Una link building umana che andava a sovrapporsi alle logiche classiche basate su Page/Trust rank et simila.
Un disastro molto umano
Tutto perfetto, tutto bellissimo, ma gli esiti furono disastrosi, perché non si tenne conto del fatto che l’essere umano è una variabile impazzita. L’authorship prevedeva che di fianco al risultato in serp comparisse la foto (piccola) dell’autore. Ebbene, venne fuori che certe foto attiravano il click più di altre, portando gli utenti su pagine povere, fuorvianti o comunque di qualità più bassa rispetto alle attese. Anni di studio e sperimentazione gettati nel cassonetto perché l’autore più rilevante veniva male in foto. Follia pura, ma è andata proprio così. Il progetto authorship venne dismesso e poco dopo, anche Google Plus.
E se stai pensando che Google avrebbe potuto semplicemente evitare di mostrare la foto di fianco al contenuto in serp, sì, hai ragione, ma evidentemente i danni prodotti all’economia di Google erano a quel punto tali da scoraggiare ulteriori tentativi di far andare avanti la cosa. Se il motore di ricerca migliore del mondo ti porta a sbattere sui contenuti sbagliati è un problema.
Come viene stabilita oggi la rilevanza per autore
Tutto quello che rimane – ma scusate se è poco – è il web semantico, fatto di oggetti marcabili secondo logiche relazionali che agiscono sul knowledge graph e che in nessun caso sembrano essere influenzate o influenzabili dai social network. Il rapporto che esiste tra Giorgia Meloni e Ignazio La Russa è visualizzabile nella parte destra della pagina di risposta aperta da Google per una ricerca sul nome di uno dei due politici italiani. Questi dati vengono presi esclusivamente dalle fonti ontologiche del web semantico e non sono modificabili se non dagli editor di siti web come Wikipedia, Wikimedia, Wikidata o DBPedia.
Se ti stai domandando quanto incida tale rilevanza per autore in termini diretti sul posizionamento, posso dirti subito che a livello empirico non esistono prove del fatto che un autore riconosciuto come influente in un certo ambito, riesca a posizionare un contenuto web su di un sito web qualunque solo in virtù della propria influenza.
Se Galimberti scrivesse di psicologia su di un blog neonato che tratta quest’argomento, occorrerebbe collegare la pagina ai vari riferimenti ontologici su Galimberti in quanto autore, mediante l’attributo sameAs. Pur compiendo quest’operazione, non abbiamo conferme sul fatto che l’articolo si posizionerebbe bene grazie a ciò, perché fondamentalmente le variabili in gioco sono troppe e non possiamo sapere davvero cosa porterebbe a cosa.
Da ultimo c’è la fattorialità indiretta, secondo cui la pagina potrebbe posizionarsi bene, perché la fama del professor Galimberti potrebbe generare di per sé quei segnali di rilevanza come condivisioni, permanenza in pagina e backlink spontanei, tali da retroagire oggettivamente sul posizionamento. Ma i segnali sociali – che un tempo si pensava fossero i +1 su Google Plus – non sono quantizzabili. Quindi rimane che se vengo a sapere che c’è un pezzo grosso a firmare un certo contenuto di mio interesse, me lo andrò a leggere e lo farò sapere ai miei amici. Questo migliorerà il ranking della risorsa, che tuttavia non si posizionerà solo per il fatto di essere stata prodotta da quell’autore in particolare, ma dal fatto che quell’autore abbia effettivamente caratteristiche tali da produrre interesse. L’autore è un fattore di ranking indiretto. Potente, ma indiretto.
Da cui posso solo concludere, con buona pace del web semantico, che ciò che conta davvero spesso non si può contare.