Scrivere con l’AI, di Fulvio Julita

Torna a trovarci Fulvio Julita, consulente e formatore sulle strategie di marketing, in affiancamento operativo con le piccole e medie imprese. È uscito “Scrivere con l’AI”, edito da Hoepli nel 2025. Non mi sono fatto scappare l’opportunità di fargli alcune domande su questo testo e sul suo lavoro.

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Fulvio Julita

1) Ciao Fulvio, a cosa lavori ultimamente?

In questo periodo sto lavorando parecchio sull’integrazione dell’AI nei processi di comunicazione delle aziende. Lo faccio con la formazione e con l’affiancamento operativo, lavorando direttamente su progetti di marketing, ma anche in ambiti come HR, sales, customer service e attività d’ufficio.

Dai casi concreti che incontro ogni giorno emerge con chiarezza l’impatto dell’AI: meno tempo speso in compiti ripetitivi, più produttività e più spazio per la componente che dà valore al lavoro, come la creatività, il problem solving e prendere decisioni migliori.

Ne parlo parecchio nei miei articoli nel blog di Plume.

2) Ci racconti come hai strutturato il tuo Scrivere con lAI” e a chi si rivolge?

“Scrivere con l’AI” (editore Hoepli) è un libro che parla dell’uso delle tecnologie AI nei processi di scrittura e si rivolge a chi utilizza la scrittura in ambito di comunicazione d’impresa.

La struttura si sviluppa su tre livelli: comprendere che cosa cambia con l’arrivo dell’AI, imparare a utilizzarla in modo pratico e riportare al centro la responsabilità del comunicatore. Ogni sezione alterna riflessioni e strumenti operativi, con l’intento di mostrare come l’AI possa diventare un supporto consapevole, capace di ampliare le possibilità senza ridurre il valore del pensiero umano.

Il messaggio è un invito a impiegare tempo e risorse per ciò che ha davvero importanza: creatività, pensiero critico e attenzione verso chi legge. L’AI accelera i processi e offre spunti, ma la regia, l’intenzione e la qualità del testo rimangono in mano a chi scrive. La scrittura richiede rispetto in quanto espressione dell’intelletto umano. Ma anche come atto di responsabilità verso il lettore, che merita valore in cambio del suo tempo.

3) Nel libro parli di stabilire un rapporto stimolante” con lAI. Qual è secondo te lerrore più comune che fanno oggi i professionisti quando provano a usarla per scrivere?

L’errore più ricorrente è considerare l’AI un nostro sostituto anziché un interlocutore con cui dialogare. Molti professionisti si limitano a chiedere output pronti all’uso. Così facendo si perdono le parti più interessanti del processo che porta alla generazione di un contenuto, sia esso un testo pubblicitario, un report, il messaggio di risposta alla mail polemica di un cliente: la sperimentazione, l’affinamento, la capacità di generare varianti e di trasformarle in stimolo creativo.

E si perdono l’efficacia di un contenuto generato secondo un processo adeguato.

Parlo di “rapporto stimolante” perché l’AI diventa davvero utile quando la trattiamo come un collega capace a cui però manca la conoscenza del nostro contesto, uno con cui costruire passo dopo passo. L’AI risponde al nostro modo di interagire: più siamo chiari e precisi, più ci restituisce qualità. È un dialogo che chiede attenzione e metodo, non una scorciatoia.

4) Tu definisci questa rivoluzione arrivata allimprovviso”. Credi che i comunicatori siano più spaventati dal rischio di perdere autenticità o dal rischio di perdere lavoro?

Credo che i comunicatori vivano entrambe le paure, ma in forme diverse. La perdita di autenticità riguarda soprattutto chi è abituato a far sentire la propria voce nella scrittura e teme che l’uso dell’AI appiattisca lo stile. La perdita del lavoro, invece, è una preoccupazione più diffusa in chi svolge attività ripetitive o standardizzate, che l’AI effettivamente può velocizzare.

In realtà, l’arrivo dell’AI ha reso ancora più evidente una verità consolidata: il valore del comunicatore non è nella quantità di testi prodotti, ma nella capacità di offrire una visione, un punto di vista, trasmettere senso e direzione. L’autenticità non è minacciata da una tecnologia, è minacciata dall’uso superficiale che se ne fa. E il lavoro non si perde se si evolve: resta a chi sa integrare gli strumenti nuovi, conservando il proprio ruolo di interprete e mediatore tra le parole e le persone.

Questa rivoluzione è arrivata all’improvviso, è vero, ma il tempo non manca: serve soprattutto la volontà di imparare a usarla senza smettere di usare la testa.

5) Hai un esempio concreto di brand che, grazie allAI, è riuscito a raccontarsi meglio senza perdere identità?

Non ho un singolo esempio da citare, quanto la testimonianza di un fenomeno ricorrente nelle aziende con cui lavoro. Il salto di qualità nella comunicazione arriva quando ci si libera dall’idea del “prompt perfetto” e si inizia a pensare in termini di contesto. L’AI non risponde a formule preconfezionate, risponde alla chiarezza delle informazioni che le offriamo: chi siamo, cosa facciamo, a chi ci rivolgiamo, quali sfide affrontiamo o in cosa siamo differenti da altri.

Quando un’impresa impara a raccontarsi meglio all’AI, i testi generati non appaiono più generici o impersonali. Acquistano tono, identità e coerenza con la cultura aziendale. È questo il vero punto di svolta: non chiedere all’AI di scrivere “al posto nostro”, ma usarla come leva per rafforzare ciò che vogliamo comunicare.

Il risultato è evidente: newsletter che arrivano con la giusta attenzione al lettore, post che parlano la lingua dell’azienda, documenti che rispecchiano valori e professionalità. La qualità cresce perché il contesto diventa il motore del messaggio, e l’AI lo amplifica invece di omologarlo.

6) Guardando al futuro: lAI resterà uno strumento che amplifica la creatività umana, o vedi il rischio che diventi il pilota automatico” della comunicazione?

La tecnologia non decide per noi: siamo noi a scegliere se subirne gli effetti o sfruttarne le opportunità. È una responsabilità che tocca chiunque si occupi di comunicazione. Ogni giorno l’AI ci pone davanti a un bivio: lasciarle prendere il controllo, oppure guidarla per amplificare ciò che ci rende distintivi. Il futuro dipende dalle decisioni che prendiamo.

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