TikTok. Capire le dinamiche della comunicazione ipersocial

Gabriele Marino, semiologo, lavora come ricercatore presso l’Università di Torino, dove insegna Semiotica delle culture musicali. Si occupa soprattutto di musica, comunicazione online e teoria semiotica. Ha pubblicato Frammenti di un disco incantato (Aracne, 2020).

Bruno Surace insegna Cinema e comunicazione audiovisiva all’Università degli Studi di Torino, dove lavora anche come assegnista post-doc. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Semiotica e media ed è collaboratore in qualità di lecturer del Collegio Einaudi di Torino.

Insieme hanno scritto TikTok. Capire le dinamiche della comunicazione ipersocial, edito da Hoepli nel 2023. Di seguito le risposte alle domande che gli ho sottoposto. Buona lettura.

TIKTOK

Ciao, Gabriele e Bruno. Ci raccontate i vostri attuali focus lavorativi?

Siamo entrambi semiologi di formazione (“come Umberto Eco”, ci piace dire) ed entrambi lavoriamo come ricercatori e docenti – precari, sorrisino – in università, a Torino. 

Gabriele – che vanta anche un oscuro passato come SEA/SEM specialist, prima per Google ETO, poi per privati – lavora soprattutto sulla musica e sulla comunicazione online (si è occupato molto di meme). Bruno lavora soprattutto sul cinema e, più in generale, sull’audiovisivo e sull’intreccio tra immaginario e tecnologia. 

Assieme abbiamo creato un podcast di 80 puntate, durato per tutta la pandemia, chiamato “#semioboomer” (il libro su TikTok che abbiamo curato assieme, di fatto, deriva da una di queste puntate) e adesso stiamo portando avanti una cosina simile, chiamata “Rosetta”. Bruno ha un progetto tutto suo, rigorosamente dal vivo a Torino, che si chiama “La Wanda Gastrica”, una specie di serie di lezioni universitarie in notturna che forse nessun professore universitario avrebbe davvero il fegato di fare. 

Visti gli interessi in comune, e visto l’assurdo per cui nel 2022 del “social del momento” in pochi sembravano starsi occupando in università, è stato praticamente obbligatorio pensare di lavorare su TikTok. Ci sembrava il necessario aggiornamento del nostro lavoro. 

Come avete strutturato il libro “TikTok. Capire le dinamiche della comunicazione ipersocial” (Hoepli, 2023) e a chi si rivolge?

Essendo il primo libro di taglio non manualistico (esistevano già un paio guide di marketing) ma propriamente saggistico sull’argomento in Italia, il target era ambizioso: perché potenzialmente avremmo voluto rivolgerci a tutti, dagli studenti, ai professionisti della comunicazione, ai semplici curiosi. 

Abbiamo scritto l’introduzione del volume a quattro mani, pensandola come vera e propria introduzione ad ampio spettro al sistema della comunicazione e dei social contemporanei, cercando di mettere in evidenza le linee di continuità, ma anche gli elementi di rottura, tra il pre- e il post-TikTok. Che è poi il motivo per cui parliamo di TikTok come “ipersocial”. Abbiamo chiesto all’editore di rendere liberamente disponibile online questa parte: https://copertine.hoepli.it/sfoglialibro/vari/9788836013883_Marino_TikTok/index.html

Ogni capitolo che compone il libro è stato affidato a un* espert* divers*: si va da TikTok in quanto piattaforma audiovisiva, al ruolo che vi rivestono il suono e la musica, alla questione della costruzione dell’identità, alle figure pubbliche e dei politici che lo utilizzano (e strumentalizzano), ai valori – perdonateci, è ovviamente una semplificazione del tipo “famo a capisse” – zoomer come l’ecologismo, alle sottoculture (il caso analizzato, interessantissimo, è quello identificato dall’hashtag #witchtok) che lo animano, fino alla lingua che parlano i suoi utenti (il capitolo in questione si concentra sulla sorprendente recrudescenza del dialetto: ed è stato scritto ben prima dell’esplosione nazionale del fenomeno Mare fuori!). 

In cosa TikTok si differenzia (e in cosa viene preferito) rispetto ad Instagram?

La prima cosa che ci viene spontaneo rispondere a questa domanda è che abbiamo l’impressione che nessuna piattaforma abbia retroagito tanto fortemente sulle precedenti – e quindi sulla totalità dell’ecosistema social – come è capitato con TikTok. Se guardiamo quello che è possibile trovare oggi su social che ormai possiamo tranquillamente definire boomer come Instagram, per non parlare di Facebook, non possiamo non notare come tutto si sia prepotentemente tiktokizzato. Al di là della banale possibilità di caricamento di contenuti, ossia video, crosspiattaforma (con i croppaggi più o meno riusciti del caso), quello che colpisce è proprio la crescente uniformità dello stile. 

Qualche anno fa, Instagram era ancora “quello più fichetto”, mentre TikTok era più ostentatamente “diretto” (ma anche: sciatto) e, quindi, per certi versi, disintermediato, “vero”. Ma queste distinzioni, oggi, sembrano essersi molto livellate. 

È possibile seguire i propri interessi su TikTok o è un social che in qualche modo ci troviamo a subire?

In qualche modo – è un po’ vero – lo subiamo: nella misura in cui il suo design è assai più minimalista e riduzionista rispetto a quanto siamo stati abituati a metabolizzare sui social vecchio stampo. Su TikTok, di norma, fruisci di un contenuto, un video, alla volta, e procedi di video in video con una meccanica che, anche proprio gestualmente, ricorda molto lo zapping televisivo. In ciò sarebbe sempre meno un social propriamente detto, ossia votato all’interazione tra contatti, e sempre più un medium (come appunto la televisione). 

L’ipertestualità esplicita – per capirci, quella degli hyperlink che su Wikipedia ti consentono di navigare tra decine di voci diverse, a partire da una stessa voce – è assai ridotta su TikTok: puoi certamente saltare di palo in frasca (nell’incrocio tra geolocalizzazione, login crosspiattaforma, abitudini di fruizione in piattaforma ecc.), ma da un singolo palo a una singola frasca alla volta, non avendo praticamente visibilità su quello che ti aspetta dopo. 

Oggi, però, il menù di TikTok è talmente ricco che ciascun macrotrend come pure ciascuna micronicchia hanno pane per i propri denti. Basta lavorare sull’algoritmo, per quanto possibile, “educandolo”. Altrimenti finirà che ci scopriremo tutti amanti, a lungo tempo inconsapevoli, delle presse idrauliche. 

Cosa deve sapere un professionista del marketing prima di valutare l’utilizzo di TikTok?

Che l’unico contenuto che dovrà produrre sono video, tendenzialmente ancora piuttosto brevi, e che avere una propria voce all’interno di questa piattaforma significa perdere, almeno un po’, anche solo un po’, la propria. 

Stare su TikTok comporta adattarsi alle sue logiche assai più aderentemente di quanto non sia accaduto finora con le altre piattaforme. Si può parlare di tutto su TikTok, a patto che lo si faccia con i crismi con cui TikTok ci consente di parlare di tutto. Semplificando brutalmente: è statisticamente più probabile che un contenuto complesso sia veicolato efficacemente su Twitch, piuttosto che su TikTok. Questo non significa che TikTok sia un lunapark di banalità, contenuti standard, leggeri o senza senso: ma che per “fare passare” certi temi, contenuti e ovviamente anche prodotti, bisogna mettere in conto una certe dose di “semplificazione by design”. 

È banale dirlo, ma a meno di non volere lavorare su un posizionamento “in negativo”, per absentia, o di non volere tagliare via, a tavolino, una fetta importante di target (che non coincide affatto con i soli zoomer o alpha), che un brand – ma anche un’attività locale, che vuole raccontarsi al mondo – stia oggi su TikTok è praticamente scontato. 

In ultimo, vi va di lasciarci qualche link per restare aggiornati sull’argomento?

Una delle nostre newsletter preferite su digital e dintorni – molto, molto approfondita (si tratta di veri e propri longform) – è FUORI DAL PED, di Valentina Tonutti (https://zaap.bio/vatonutti). Non è verticale su TikTok ma, molto intelligentemente, è sempre più attenta a questa piattaforma e a quello che vi succede dentro.

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