Qualche giorno fa mi è capitato di vedere un post di Alessandro Ghezzer che mostrava immagini tirate fuori da un’intelligenza artificiale. Il risultato, del tutto sorprendente era stato “promptato” in modo tutto sommato anche semplice.
Dove stiamo andando
Dobbiamo sul serio parlare di arte?
Possiamo girarci intorno quanto ci pare, ma oggettivamente, non esiste uno straccio di motivo per cui questi quadri prodotti con AI non possano essere esposti in una mostra assieme ai dipinti veri, opera di artisti in carne ed ossa.
Da quando esiste l’arte definita in quanto tale socialmente (non la musica che produco a casa e ascolto solo io) è un fenomeno legato al mercato. Per circa 1500 anni dopo la nascita di Cristo è stata arte Sacra, quasi sempre commissionata dalla Chiesa o ritrattistica per i nobili. A seguire avviene un lentissimo e progressivo distacco dal tema religioso, finché tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 fanno capolino i punti di vista e le visioni astratte di artisti che riescono a intercettare e mettere su tela un cambiamento sociale in atto. Vedono qualcosa in anticipo e la raccontano, spesso senza neanche rendersi conto di produrre un’opera che risuonerà nel pubblico. Monet, Van Gogh, Dalì, Picasso, anticipano con le loro opere, forse inconsapevolmente, le imminenti rivoluzioni tecnologiche e la gente in qualche modo lo sa. Se però fino alla prima metà del secolo scorso, l’opera d’arte era arte in quanto tale, indipendentemente dall’artista che la produceva, l’epoca definita contemporanea e ancor più la pop art, incolla il suo messaggio a un concetto espresso dall’artista, diventandone imprescindibile.
Questo passaggio, importantissimo, spiega il motivo per cui una banana incollata al muro può essere considerata Arte, ma solo se l’opera è di Cattelan, altrimenti sarà solo una banana incollata ala muro. L’artista, il medium, diventa il messaggio. Lo aveva capito McLuhan negli anni ’60, esprimendo il concetto nella teoria dei nuovi media (la televisione), ma nel “villaggio globale”, nemmeno l’arte poteva sfuggire a questo nuovo paradigma.
E se l’artista non esiste?
Parafrasando Battiato, viviamo strani giorni. Li viviamo senza dubbio. Veloci soprattutto. Stani e veloci. In questi giorni è vero tutto e il contrario di tutto e ci sembra di perdere i riferimenti che già si erano profondamente annebbiati nel secolo scorso. In questo marasma di stimoli, proiettati verso la singolarità tecnologica – aspetta a maggio, quando uscirà GPT4 – in quest’era di transumanesimo, l’artista, l’anticipatore delle tendenze sociali, colui la cui opera finisce col generare una risonanza nel pubblico, paradossalmente può non essere umano. Anzi, a questo punto è naturale che sia così.
Ti lascio con una riflessione di ordine storico:
Platone criticava la scrittura – che detto tra noi è forse la tecnologia più importante mai sviluppata – perché sosteneva che avrebbe tirato fuori la storia (e la memoria) dalle persone. Non a caso i primi storiografi Greci, non erano persone che raccoglievano documenti, ma raccontavano semplicemente le cose che vedevano di persona.
E direi che ormai la tecnologia ha tirato via dalle persone tutto ciò che poteva. Perfino l’arte. Ora dobbiamo metterci d’accordo sul fatto che questa sia una buona cosa oppure no, prima che l’incanto di questo mondo nuovo finisca di stupirci… e ci renda stupidi.