Gaia Passamonti, umanista, migrante digitale, corporate storytelling strategist. Socio fondatore di Pensiero visibile.
Ha scritto Podcast Marketing, edito da Hoepli nel 2020. Le ho sottoposto alcune domande in particolare, perché in questo momento storico il podcast è più che mai uno strumento centrale per la comunicazione e il marketing. Vi lascio alle sue risposte, augurandovi buona lettura.
1) Ciao Gaia, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?
Diciamo che sono quelli di sempre: progettare narrazioni aziendali che le persone abbiano voglia di leggere, sperimentare, ascoltare, sia che l’output sia un piano editoriale per i canali social, un evento, un sito o un podcast.
Paradossalmente credo che nell’attuale scenario, con la diffusione prepotente dell’AI, questo focus invece di diventare obsoleto sia sempre più rilevante, soprattutto se si ha la capacità di maneggiare tool umanistici, tipicamente non riproducibili come la creazione di un racconto transmediale attraverso ispirazioni culturali trasversali.
2) Come hai strutturato il tuo Podcast marketing, e a chi si rivolge?
Si tratta di un libro molto pionieristico per il momento in cui è stato scritto, nel 2020, nato dall’idea di conciliare in primis i miei due mondi di appartenenza: quello della comunicazione per il business e quello delle narrazioni in podcast. Quello che ho cercato di fare è far comprendere come il podcast sia in sostanza un contenuto digitale né più né meno di altri contenuti creati dai brand, ma con la particolarità di avere una natura profondamente narrativa. Perciò – molto più di quanto accade per altri contenuti – per essere efficace deve essere progettato secondo le regole del (buon) storytelling, e non improvvisato. Inoltre non si può pretendere che funzioni da solo, ma deve essere inserito in un ecosistema di comunicazione che nasce da una strategia.
Il libro si rivolge principalmente a chi si occupa di marketing e comunicazione nelle aziende o nelle agenzie, ma anche ai podcaster che vogliano cimentarsi con la produzione di podcast branded. Non è però un manuale su come realizzare un podcast dal punto di vista tecnico, ma progettuale e strategico.
3) Perché un brand dovrebbe investire in un podcast oggi? Quale problema di marketing risolve meglio di blog, video e social?
Per fortuna siamo usciti dal momento del boom dei podcast – che è durato dal 2021 al 2023 circa – perché da una parte il fatto che i podcast fossero un trend facilitava la richiesta, dall’altra però ha fatto sì che si improvvisassero a produrre podcast per i brand realtà (un esempio fra tutti gli studi di registrazione) che non avevano davvero cognizione né di cosa fosse un podcast né di cosa sono i branded content o un piano strategico di comunicazione. Questo ha fatto sì che il mercato si sia bruciato molto in fretta, e che molti brand siano rimasti “scottati” perché gli è stato fatto credere che i podcast avrebbero fatto il miracolo, come i social in precedenza. Sono stati realizzati centinaia di podcast che nessuno ha ascoltato.
Ora per fortuna tutto il settore è più maturo, gli entusiasmi sono calati ma è cresciuta la consapevolezza.
Produrre un podcast significa creare uno spazio di approfondimento fuori dalla bagarre della comunicazione veloce a cui siamo continuamente esposti, e lontano dagli schermi di cui siamo sempre più stanchi. Insieme a blog e newsletter fa parte di quei contenuti da fruire in maniera più slow che una parte di persone sta apprezzando sempre più. Con i podcast posso raggiungere un pubblico acculturato e tendenzialmente molto fedele una volta conquistato, che statisticamente è disposto ad ascoltare i miei contenuti per oltre 30 minuti al giorno e a parlarne con altre presone (dati Ipsos del 2024).
Certo, il “gioco” riesce se sono in grado di offrire un progetto narrativo rilevante per il mio pubblico, e qui torniamo a quello che si diceva prima: non ci si può improvvisare, nemmeno se si vuole realizzare un podcast talk.
Teniamo anche presente che i podcast sono contenuti che hanno una vita quasi infinita, rimangono sulle piattaforme e possono “riemergere” ed essere sfruttati anche anni dopo la pubblicazione, se sono stati pensati in maniera strategica fuori dal flusso dei contenuti più effimeri come quelli per i social. Per questo ha senso che al centro di un progetto podcast ci siano contenuti
legati alla visione e ai valori del brand più che al just in time.
4) Dal brief alla prima stagione: quali scelte non delegabili (target, format, voce, durata) e quali errori vedi più spesso?
L’errore principale è lo stesso che vedo molto spesso anche nell’impostazione generale della comunicazione dei brand: parlare solo di se stessi. Chi mai avrà voglia di ascoltare un podcast in cui racconto solo la mia azienda e i miei prodotti? A quel punto le KPI di ascolto non saranno soddisfacenti, e il cliente penserà che i podcast in generale sono un contenuto inutile.
La costruzione di un progetto narrativo strategico è una questione complicata, che andrebbe affidata con fiducia ai professionisti della narrazione e della comunicazione. Poi le scelte formali (format, voci, sound design, frequenza di pubblicazione etc.) vengono di conseguenza.
5) Budget e team: qual è la soglia minima “dignitosa” per non suonare amatoriale? Quali ruoli sono indispensabili e dove ha senso tagliare senza fare figuracce?
Come dico sempre durante i miei corsi, se c’è un progetto narrativo solido, la parte realizzativa per estremo può essere anche assolta da una sola persona che ha esattamente chiaro cosa va fatto.
Fuori dal paradosso, direi che ha senso investire nella parte progettuale e autoriale (scrivere testi che suonino bene in audio non è banale), in una buona registrazione in studio della voce portante (per amplificare l’effetto di intimità di una voce amica che mi parla nell’orecchio, tipico dei podcast e funzionale dal punto di vista neutoscientifico) e in un progetto di sound design che dia ritmo e boost a tutto il progetto.
Senz’altro si può evitare di pagare uno speaker professionista o un attore, che toglierebbero autenticità al lavoro, in favore magari di una voce che appartiene veramente al mondo del brand.
Poi importantissimo, rispetto al budget investito nella produzione di un podcast, devo sapere che occorre investirne quasi altrettanto nella comunicazione e promozione.
6) In ultimo, ci lasci qualche link per restare aggiornati sul tema?
Senz’altro la newsletter della giornalista Andrea Federica de Cesco, “Questioni di orecchio”, che da tempi non sospetti dà ogni settimana il panorama delle nuove produzioni, ma anche dello scenario legato ai podcast sia in Italia che all’estero, un vero tesoro di informazioni: https://www.questionidorecchio.it/
Poi la newsletter “Orson” della mia casa di produzione Storie avvolgibili, in cui ci focalizziamo sul mondo del branded podcast, la trovate qui http://bit.ly/4oycyxf.




