La settimana scorsa ho pubblicato una riflessione sulla rubrica del Fatto Quotidiano dedicata ai Cervelli in fuga. Si tratta di una categoria di articoli del noto quotidiano online che raccoglie testimonianze di persone “normali” raccontandone il successo ottenuto all’estero dove avrebbero risolto ogni problema in virtù di condizioni lavorative che fuori dall’Italia sarebbero spesso migliori che da noi.
È probabile che la suddetta rubrica sui “cervelli in fuga” faccia molto traffico, soprattutto attraverso i canali social, ma la mia riflessione è sul messaggio forse un po’ scoraggiante che viene trasmesso in questo modo, soprattutto a chi non avendo ancora esperienza del mondo del lavoro potrebbe costruirsi un preconcetto difficile da scardinare. Insomma, se ci convinciamo che l’Italia è un postaccio, ci comporteremo di conseguenza in modo da confermare questa percezione, rischiando di farlo diventare davvero un postaccio. È la profezia che si auto adempie.
Se ti stai chiedendo dove vivo per dire cose simili, forse hai letto troppi articoli che connotano negativamente il nostro Paese.
Testimonianze
Alzi la mano chi non ha un amico o un parente che si è trasferito fuori dall’Italia per lavoro. Nel mio piccolo posso parlarti di un giovane di 33 anni, appena laureato in ingegneria informatica, che nel giro di due mesi ha trovato lavoro in un’azienda Olandese oggi acquisita da una multinazionale. Nel 2014 il suo primo stipendio era di 2.500 euro, oggi ne guadagna 3.200 netti. In Italia ne avrebbe guadagnati forse la metà. Un altro caso di cervello in fuga da condizioni lavorative disagiate? E come facciamo a dirlo se è andato via due soli mesi dopo la laurea? In pratica non ha cercato lavoro in Italia un solo giorno.
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Mi domando se non ci sia qualcuno che va via per partito preso, avendo sentito troppo spesso in giro che in Italia non c’è lavoro, si pagano troppe tasse, si guadagna poco, le aziende sono poco serie e via dicendo. Mi domando se tra tutti quelli che scelgono di abbandonare questo Paese non ci siano tanti come il giovane di cui ho parlato prima, che scappano senza se e senza ma, verso un mondo che deve essere migliore perché lo dicono tutti.
Puoi restare in Italia, solo se ti va
Sia chiaro, non dico affatto che sia sbagliato andar via. Il mondo è pieno di bellezza e per tanti versi è vero che l’Italia è popolata da dinosauri, quindi se vuoi fare un’esperienza all’estero va benissimo, ci mancherebbe altro, solo mi dispiace sentire di persone che fanno scelte tanto importanti per “sentito dire”. Insomma, se vuoi andare vai, ma se vorresti restare e pensi di andar via solo perché tutti dicono che qui da noi si sta male, fermati un momento e verifica in prima persona se è veramente così.
Un giorno potresti scoprire che ci sono tante storie meravigliose da raccontare, tutte legate all’Italia. Tanti hanno saputo inventarsi un mestiere, tantissimi vivono felici la loro professione anche senza essere stati raccomandati e senza aver fatto le scarpe a nessuno, semplicemente perché hanno saputo trovare il loro posto qui e hanno saputo “fare”.
Raccontami la tua storia
Purtroppo però non è facile leggere in giro le storie di queste persone, perché sembra molto più facile fare traffico sull’indignazione e sul risentimento che sulla voglia di fare e sul racconto di persone che hanno lavorato 12 ore al giorno per costruire qualcosa. Io non mi accontento più di leggere quanto è più facile far bene fuori… a me le cose facili non piacciono.
Da cui il mio invito per i giornalisti del Fatto Quotidiano: perché non proponete una rubrica di interviste a persone (non startup innovative, persone) che sono riuscite a costruirsi un mestiere e una reputazione in Italia partendo dal nulla? A veder bene, ce ne sarebbero di storie da raccontare. Dareste a tanti un punto di vista diverso sulle cose e stai a vedere che magari fareste ancora più visite… a saper fare…
E per finire mi rivolgo a te che hai letto quest’articolo e (chissà come) lavori in Italia.
Ti va di raccontarmi la tua storia in un commento? Come ti è andata?
Io Italia ci tornerò a breve dopo aver vissuto in Germania, Irlanda e Francia.
Ci tornerò perché sono in proprio e lavoro da remoto. Credo sia vero che da dipendenti gli stipendi siano bassi in Italia. Detto questo molto di quelli che si spostano lo fanno solo verso certe città e per certe posizioni: certo, lavorando a Dublino per TripAdvisor o Groupon come software engineer posso prendere di più che lavorando per la Pinco Pallo di Alba, ma magari spostandomi a Milano e lavorando per un grande brand la differenza sarebbe minore. In Italia forse si prendono poco sul serio i giovani, questo si. Essere presi sul serio a 22 anni in grandi aziende non credo sia fattibile in Italia, in altri paesi si. Però credo sia possibile costruirsi la propria nicchia, specie se si lavora con l’estero. Io poi vivo in Francia ora dove tasse e burocrazia sono comparabili alle nostre, c’è solo forse un po’ di ottimismo in più.
Io ho 23 anni, vengo preso sul serio – forse pure troppo – anche da grandi aziende. Lavoro solo in Italia, senza spinte di amici e parenti. Non dico che sia facile e scontato. Credo che ci siano grandi drammi irrisolti che andrebbero affrontati. Non credo che vada tutto bene. Ma credo che sinceramente ci sia veramente troppo pessimismo e troppa, troppa sfiducia.
Ciao Francesco, ottima riflessione.
Concordo sul fatto che prima di andarsene bisogna provare e riprovare a rimanere in questo fantastico nostro paese. Nel mio caso ho fatto le valigie l’anno scorso, dopo aver fatto tutto quello che potevo fare per lavorare e restare.
Da dipendente, a freelance, da freelance a ditta, da ditta a SRL.
Ma quando poi capisci che lavori per un sistema sbagliato, o rimani e smetti di lamentarti, oppure prendi e vai in un altro paese dove si vive bene, dove la situazione fiscale è migliore e dove puoi iniziare a raccogliere i frutti del tuo lavoro.
Personalmente questa scelta ha salvato me e la mia azienda, facendomi ritrovare la passione per il mio lavoro che avevo perso negli ultimi anni di malcontento in Italia.
Ottima riflessione, che nel mio piccolo avevo fatto anch’io leggendo gli articoli sul fatto quotidiano. La mia storia è di chi è rimasto (in Italia, purtroppo non vicino casa). Laureata in ingegneria a Luglio a 26 anni. Il 1 settembre comincio uno dei tanto vituperati stage a 500 euro al mese a Milano, ma nel frattempo uno dei tanti CV mandati ha fatto centro e il 1 ottobre vengo assunta da una multinazionale con un contratto di due anni, che alla scadenza è stato tramutato in indeterminato con macchina aziendale, aumento e benefit. Certo lavoro tanto, ma mi piace quello che faccio e adesso, a 30 anni e dopo 4 anni d’azienda posso mettere al mondo un figlio con relativa tranquillità.
Allo stesso tempo mia sorella, architetto, laureata a pieni voti con erasmus a Parigi, tirocinio a Berlino e tesi all’estero, iscritta all’ordine, prende 800 euro al mese lorde ed è contenta perché “rispetto a tanti suoi colleghi”…
È ovvio che, al contrario di me, lei a malincuore stia guardando all’estero…