Un post virale sul web è un contenuto che per sua natura viene largamente condiviso dalle persone attraverso i propri siti web e/o profili social. La viralità autentica travalica i confini delimitati dai rapporti personali e arriva ben oltre questi, fino a raggiungere persone del tutto lontane dalla fonte del messaggio, proprio come il raffreddore o l’influenza, appunto virale.
Ottenere l’effetto di “viralità” è molto difficile, anzi, siamo spesso portati a scambiare un centinaio di like sotto i nostri post su facebook per un fenomeno virale, senza cogliere che in effetti facebook è diabolicamente bravo a solleticare il nostro ego facendoci credere di aver raggiunto vette di visibilità inenarrabili.
La prima regola, 100 o 1.000 like non fanno viralità
Per prima cosa dunque, familiarizza con l’idea che 100 like non fanno un post virale, anzi, talvolta i post virali non suscitano reazioni social come like e condivisioni, perché la viralità si può innescare su post scritti da terze persone che riprendono il tuo messaggio. Questo passaggio rende un post virale più difficile da realizzare, perché occorre da un lato trovare il messaggio giusto, dall’altro lanciarlo nelle condizioni adatte a intercettare persone che chiameremo affettuosamente “untori”.
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Nessun messaggio è virale di per sé, al massimo può essere curioso, ma a innescare il meccanismo di cui parliamo oggi sono le condizioni del contesto in cui il messaggio viene inserito. Il contesto può riguardare l’agenda mediatica, il calendario solare o anche solo il medium che viene scelto per lanciare il messaggio. È a partire da qui che possiamo cominciare a parlare di ciò che davvero innesca la viralità: la tensione sociale.
Seconda regola, individua una tensione sociale
La tensione sociale nasce proprio dal contesto. Senza le condizioni socio economiche della Francia di fine ‘700 non ci sarebbe stata la Rivoluzione Francese, quindi sgombriamo il campo da dubbi: non è una battuta a diventare virale, ma la pulsione che la battuta stessa riesce a risvegliare. L’idea di cui parlo deve far leva su di una tensione sociale latente, vale a dire su di un’idea solitamente imbarazzante, scomoda o proprio dolorosa per la quale una parte di noi, pur non avendo colpe dirette, potrebbe sentirsi chiamato in causa. La viralità in qualche modo indigna.
Indignerebbe sapere che il sindaco di Todi non ha concesso il patrocinio per la manifestazione partigiana dello scorso 25 aprile, sostenendo che in quanto dichiaratamente antifascisti, i partigiani sono “di parte”. La notizia in sé fa sorridere, ma al tempo stesso innesca tensione, dal momento che la maggior parte dei nostri nonni è stata fascista.
Qui abbiamo il contesto (25 aprile) e la tensione corrispondente. La notizia venne rilanciata da tutti i giornali ottenendo una discreta eco, soprattutto verso persone sensibili al tema, niente di gigantesco, ma neanche poche.
Terza regola, porta la tensione sul tuo terreno
Attenzione, l’esempio di prima non è in sé il messaggio virale, piuttosto configura il contesto in cui può essere lanciato un messaggio virale: tante persone indignate o divertite per un’uscita singolare del sindaco di Todi, oppositore dell’ovvia realtà che i “partigiani” siano “di parte”. A questo punto mi sarei aspettato il solito slogan dell’agenzia funebre Taffo, che poteva affacciarsi su facebook con un bel “Noi non siamo di parte, prendiamo tutti“. Questo è un esempio di come portare una tensione sociale storica e divisiva sul tuo terreno… anzi, sotto.
In alternativa, la solita Ceres poteva titolare qualcosa come “Un partigiano imparziale è come la birra analcolica” e se mi dai un minuto mi viene in mente pure qualcosa che si sarebbero potuti inventare gli amici di Durex, anzi, questo esercizio lo lascio a te.
La viralità inattesa
Se gli esempi ideali proposti in precedenza riguardano il lavoro dei pubblicitari, il meccanismo virale può innescarsi da solo perché certi contesti non riguardano una data o un periodo storico, ma sono sempre presenti alla nostra percezione. Ecco come l’ormai celebre direttrice di una filiale di Banca Intesa viene tirata dentro suo malgrado per un video che trasforma lei e i suoi sottoposti in cabarettisti. Qui la tensione è rappresentata dal gioco delle parti in cui un superiore ti impone di prestarti a un gioco ridicolizzante. Chi di noi non ha mai dovuto sottostare a ordini imbarazzanti? È questa la molla ad aver fatto scattare le centinaia di migliaia di condivisioni: ci siamo sentiti tutti come quel tizio con gli occhiali che reggeva la torta a forma di cuore e che sicuramente in cuor suo avrebbe voluto tirarla in faccia a qualcuno, così, solo per provare l’effetto che fa.