Enrico Marchetto si occupa di progetti in rete dal 1996. È Social Media Strategist a Noiza.Com, l’agenzia che ha fondato con altri 3 soci. Nel 2024 ha pubblicato Confessioni di un Marketer – Apogeo Feltrinelli, un libro coraggioso e originale sul mondo del digital marketing.
Di seguito le risposte alle domande che ho pensato di sottoporgli. Nel ringraziarlo, auguro a tutti voi buona lettura.
Ciao Enrico, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?
In questo momento della mia vita, ma come del resto negli ultimi 15 anni, mi divido tra due grandi strade professionali: la prima è Noiza, l’agenzia che ho fondato con i miei tre soci a Trieste. Abbiamo cominciato in modo molto verticale in ambito advertising su Meta e negli ultimi due anni ci siamo aperto a un mondo di performance un po’ più ampio, includendo Google, Linkedin e TikTok advertising.
L’altro “filone” è l’insegnamento: dal 2017 insegno all’Università di Udine e mi occupo di Marketing Online e Strategie Digitali, per triennali, specialistiche e master.
Se le domanda implicita un “sub-topic” del tipo: “ok ma in questo momento particolare della tua vita professionale di cosa ti stai occupando?”.
Beh sto facendo i conti con una specie di ruolo ibrido che mi sono ritagliato ultimamente di abbandonare progressivamente la parte operativo-esecutiva delle campagne per concentrarmi sugli aspetti strategici dei vari clienti, continuando a fare il frontman dell’agenzia, con speech, convegni e, appunto, l’ultimo libro che ho scritto.
Spiego meglio le parole chiave “aspetti strategici”, che spesso viene lasciato così sul vago.
Insieme a un partner, Weber Shandwick, ci occupiamo della media-buying su Meta del Gruppo Alpitour.
Gli aspetti strategici comprendono tutta una serie di domande a cui dare risposta:
- quali sono le principali KPI di brand e performance da raggiungere?
- puntiamo sulla copertura e intensifichiamo le impression?
- quando andiamo in setup manuale e quando in dinamico?
- quando scegliamo dei laser target e quando invece andiamo broad?
- quali sono le metriche per definire che una creatività funziona oppure no, puntiamo all’ingaggio e alla Social Proof oppure misuriamo la forza distributiva privilegiando la copertura?
Ecco io mi occupo principalmente di trovare insieme al cliente queste risposte, di farle testare e di ricalibrare volta per volta gli elementi tattico-strategici, in base ai nuovi insight ricevuti.
Come hai strutturato il tuo “confessioni di un marketer” e a chi si rivolge?
Il libro nasce su due fondamenta principali.
Il primo: quattro anni di appunti, speech, convegni, in cui ho presentato studi e ragionamenti sul “trigger point”.
L’assunto di base è che tutto l’asset dei Social Media, da Instagram a TikTok, si sta spostando sempre di più su un pubblico “algoritmico”.
Cosa vuol dire? Che la distribuzione non più dipendente da fan e follower, ma si emancipa dalla propria zona di comfort e tende a raggiungere o persone che non ci seguono o persone che non hanno idea di chi noi siamo.
Pensa alla rivoluzione che ha introdotto TikTok: un video ha più o meno per intero un pubblico di “discovering”. Persone che non ci hanno mai visto prima.
Il nostro impegno creativo dev’essere massimo perché, appunto, dobbiamo attivare l’attenzione di qualcuno che non ci conosce.
Come farlo? Ragionando sui punti di attivazione dell’attenzione.
Per esempio “il prima e il dopo”, com’è la tua vita prima di incontrare il mio prodotto e com’è la tua vita dopo che l’hai provato.
La “paura”, il “senso di colpa”, la “FOMO (fear of missing out)” mi portano a teorizzare che il ruolo dell’advertiser è prima quello di progettare l’attivatore, poi quello di declinare l’attivatore su un contenuto, cioè vestirlo con un video e metterlo in campagna.
Venivo da due manuali, entrambi – ma soprattutto il secondo – con un buon successo di vendite.
Ma volevo qualcosa in più di una scrittura manualista.
E qui veniamo al secondo fondamento: è un libro totalmente autobiografico, che ha un’ambizione, quella di farsi leggere con se fosse un libro di narrativa.
Un progetto che però, per le mie competenze, risultava quasi impossibile.
E allora ho deciso di iscrivermi a un Master in Scrittura Creativa alla Scuola Holden di Torino.
La combinazione di questi due elementi, il mio storico professionale degli ultimi quattro 4 anni e 9 mesi passati a sperimentare e migliorare la tecnica narrativa, ha prodotto questo risultato.
Sembra stia piacendo, ma è ancora presto 😉
Ci scrivi il rapporto tra empatia e manipolazione di cui scrivi nel libro?
Ogni anno a Trieste c’è un piccolo festival letterario molto molto interessante: “Scienza e Virgola”.
Scrittori e scienziati a confronto.
Durante un evento un famoso scrittore italiano fa una riflessione che mi folgora: “noi universalmente connotiamo positivamente l’empatia. Prendere i panni dell’altro per aiutarlo, questo è il nostro pensiero comune. Però empatia è anche prendere i panni dell’altro per manipolarlo.
E penso che nell’attività di un advertiser questo accada quotidianamente. Lavorare sui trigger point significa esattamente questo: prendere i panni dell’altro per cercare la leva emotiva che attivi la sua attenzione.
L’advertiser è un manipolatore? Certo senza dubbio.
Il libro è un racconto autobiografico esattamente su questo.
Sulla vita di un marketer alla ricerca del contenuto perfetto.
Cosa può fare un marketer per operare in modo etico nei confronti del pubblico da raggiungere?
Non è nemmeno una domanda da farsi: un marketer DEVE operare in modo etico.
Anche quando lavora in mercati apparentemente non etici.
Secondo me è passato un po’ il tempo delle azioni borderline in ambito marketing. Nel mio caso io ho passato la prima parte della mia carriera, quando Facebook era una sorta di Far West, provando ad “hackerarlo” sfruttando buchi e falle.
Ecco quello non era etico.
Col senno di poi rivedo quel periodo un po’ come un aspirante Jedi che entra nella Caverna di Yoda e vede Darth Vader, cioè la proiezione di sé come Sith.
L’importante è uscirne, fanne tesoro e capire che si può vivere una vita da marketer bella tranquilla domandandosi sempre “quello che faccio è corretto? Quello che faccio è etico?”.
Io lavoro per un mercato, quello del poker e del gambling, che risulta potenzialmente non etico.
Ma è sempre “come lo fai” a definirti.
Sempre rimanendo nelle regole, sempre ragionando sulla finalità del tuo lavoro, sempre pensando a come renderlo più sicuro per il tuo cliente finale.
So di aprire un buco nero enorme di possibili critiche a ciò che ho appena scritto.
Ma sono prontissimo a rispondere colpo su colpo.
In che direzione sta andando la comunicazione pubblicitaria basata sulle ADS nei social?
Sinceramente? Siamo di fronte a una nuova professione.
Il 70% di questo mestiere è in mano a un algoritmo.
La distribuzione.
Il target.
Il restante 30% è ancora in mano nostra.
Abbiamo ancora un sacco di potere e controllo soprattutto sulle definizioni strategiche, sugli attivatori, sulle creatività e ovviamente sugli obiettivi: quelli li decidiamo ancora noi.
Di base la cosa interessante è che l’algoritmo ci emancipa da dei task noiosissimi e tu, marketer, torni a fare ciò per cui sei preparato: marketing.
In ultimo, puoi lasciarci qualche link per restare aggiornati sull’argomento?
Mah vivo un periodo di letture stanche nel senso che trovo quintali di roba generata da AI.
Le cose migliori le trovo su Linkedin, sono reduce da un paio di post di Aniruddha Mishra e Daniel James molto interessanti.
Daniel James tiene anche un podcast molto figo: Bitesized.
Ecco forse per i buoni propositi del 2025 metto in cantiere un podcast. Nulla di originale. Ma un podcast sul performance marketing, con ospiti CMO o Imprenditori orientati allo scaling credo sia qualcosa che manchi in Italia.