Ti sarà certamente capitato di vedere condivisa sui social un’immagine accompagnata da un testo ironico e di trovare il tutto molto divertente. Ti hanno spiegato che quella roba lì si chiama Meme e da quel giorno, quando te lo chiedono, affermi che un meme è un’immagine divertente, spesso accompagnata da un testo. Ma è davvero tutto qui o c’è per caso dietro dell’altro?
Sapere veramente cos’è un meme può aiutarci a capire come provare a sfruttarne il potere dirompente per la nostra comunicazione personale o per lavorare efficacemente a una campagna di content marketing aziendale.
Ricordi quando a scuola qualcuno faceva una gaffe e/o diceva qualcosa di molto divertente, magari scimmiottando un attore visto alla TV? In quei casi poteva capitare che si creassero dei meccanismi di imitazione tra i compagni di classe, tali da portare i ragazzi a ripetere l’espressione divertente anche in contesti diversi, allo scopo di far divertire i compagni. Quando ti dicono che un meme è un’immagine buffa condivisa su facebook o Instagram, tu ricordati di quell’espressione idiota che facevate tutti in classe per imitare la prof. di matematica, perché quando parliamo di meme, ci riferiamo proprio a quella roba là.
Un meme è un elemento comunicativo che si diffonde per imitazione all’interno di una cultura condivisa, sfruttando la così detta funzione memetica, vale a dire la capacità che certe idee o comunque tracce mentali, hanno di diffondersi e propagarsi da individuo a individuo. E fai attenzione perché stiamo andando al cuore della viralità, per cui possiamo dire che un messaggio virale è sempre caratterizzato da una forte capacità memetica, quindi:
un messaggio virale è sempre associato a un meme. Sempre.
Come si fa, soprattutto, si può fare?
Nell’immagine qui di fianco puoi vedere un fotogramma preso da un video riportato dai giornali negli ultimi tempi. Si vede una suora anziana che divide due ragazze nell’atto di baciarsi, al grido di “Gesù non vuole!”. Il video è diventato virale perché gioca su una tensione sociale molto attuale, su cui non mi soffermerò in questa sede.
Francesco Bellomia (credo l’abbia ripreso lui), ha preso il fotogramma più importante, quello in cui la suora alza proprio le mani sulle due ragazze, ricontestualizzando tutto sulla SEO attraverso l’uso del testo. Bello!
Ora, quest’immagine oggi è un meme, ma probabilmente tra un anno nessuno se la ricorderà più. Questo tratto della funzione memetica è affascinante quanto incontrollabile, perché non si riesce a capire il motivo per cui certe immagini funzionano per decenni e altre vengono dimenticate nel giro di poco tempo. Ad esempio, ricordi quell’immagine in cui una coppia cammina per strada e lui si gira a guardare il sedere di un’altra? Non c’è nemmeno bisogno che te la mostri. Ebbene quella roba lì avrà almeno 10 anni e funziona come se fosse stata prodotta ieri. Puoi contestualizzarla in mille modi e fa sempre il suo lavoro. È per trovare immagini come quella che i marketers si scassano la testa da sempre, senza riuscire a riprodurre quella viralità. Si procede per tentativi che a volte funzionano e a volte no. E per fortuna direi.
E quindi come si fa?
Si fa esattamente come ha fatto Francesco Bellomia, cercando magari di essere i primi ad accorgersi di un messaggio che si diffonde rapidamente giocando su una tensione sociale. Se ne cattura il cuore – la suora che alza le mani – e lo si riporta al contesto di interesse, in questo caso la SEO.
Sistematizzare queste attività può produrre una spinta enorme sia in termini di awareness che per connotare un brand personale o aziendale, soprattutto nell’epoca in cui viviamo, in cui i social network sono sempre più amplificatori di immagini dalla rapida fruizione.
Che ne pensi? Ho lasciato fuori qualcosa?