E-commerce multilingua: errori imperdonabili

Non avete idea di quante volte mi sia ritrovato a studiare siti e-commerce legati ad attività commerciali che per quanto ampie, non giustificavano le scelte di cui sto per raccontare. Proprio no.

Un sito web multilingua ha la particolarità di offrire contenuti redatti in almeno due lingue diverse. Tale scelta può essere finalizzata a fare business intercettando utenti che parlano più lingue, o più semplicemente a offrire contenuti tradotti a utenti precisi come fornitori o altri interlocutori aziendali.

Non è dunque da sottovalutare il motivo per cui serve tradurre un sito web, perché in base a quel che si vuole ottenere, si opterà per scelte tecniche diverse. Insomma, un conto è fare posizionamento nei motori di ricerca in regime di internazionalizzazione di un progetto web, cosa diversa è fornire pagine del sito tradotte “in caso serva”. Nel primo caso occorrerà sviluppare versioni tradotte delle pagine web con URL indipendenti, specificando la lingua nei tag preposti della pagina, fornendo gli opportuni rel alternate e magari affidando la keyword research a professionisti madrelingua, possibilmente residenti nelle aree geografiche da coprire. Nel secondo caso, basterà integrare un language selector collegato al traduttore automatico via browser, senza creare davvero versioni tradotte delle pagine web e senza pesare sulla scansione. Cose diversissime.

Ora in particolare,

un e-commerce è un sito web che fa riferimento a un’azienda che rivende prodotti propri o realizzati da aziende terze.

Succede una cosa meravigliosa: le aziende scoprono che c’è la possibilità di vendere prodotti sull’internet e di punto in bianco decidono di partire alla conquista del Globo Terraqueo, producendo versioni multilingua destinate a Paesi tra cui isole militarizzate dell’Africa centrale, popolate da pastori che vivono nelle grotte, inevitabilmente desiderosi di acquistare un cappellino con visiera griffato da 120 euro.

Ora, se questa storia non ti sembra già abbastanza folle, immaginati questo pastore dodicenne nella caverna con il fucile in mano. Te ne sei fatto un’immagine nella mente? Bene. Ora, questo pastore, indubbiamente interessato all’acquisto del cappellino di cui sopra, parla Suahili, una lingua bantu, della famiglia delle lingue niger-kordofaniane, diffusa in gran parte dell’Africa orientale, centrale e meridionale. Ho detto che lo parla, non che lo legge. Lo parla.

Il nostro imprenditore purosangue d’italica stirpe, ha pensato bene di farsi fare il sito web in 246 lingue, tra cui quella del nostro pastore che chiameremo affettuosamente “Oh”, come il protagonista del film Pixar Home, un alieno disadattato. A questo punto ti racconto quello che succede sempre in questi casi.

Oh si troverà – e lo farà senz’altro – a leggere un contenuto in inglese, lingua per lui completamente sconosciuta, nella versione localizzata per il Paese in cui vive, esattamente uguale alla lingua inglese che verrà utilizzata per tutte le altre versioni delle stesse pagine destinate ad altri Paesi di cui il nostro eroe non sa un accidenti di niente, ma che sono certamente mercati da “aggredire”. Ah, dimenticavo di dire che il contenuto sarà in inglese se va tutto bene, altrimenti sarà in italiano. Mai tradotto.

Oh + povero Oh = poveroH

L’intestazione di questo paragrafo è l’equazione che descrive l’ignoranza anche sgradevole da commentare di questi novelli Phileas Fogg che pretendono di fare il giro del mondo in 80 giorni senza nemmeno la mongolfiera. A queste persone dobbiamo dire con fermezza che questo modo di fare non va bene per niente, perché non solo non aumenta le possibilità di sviluppo sui mercati esteri, ma danneggia inevitabilmente la visibilità in Italia, dal momento che si finisce col mettere online un sito interamente duplicato tante volte, quante sono le versioni destinate ai Paesi diversi che si vuole raggiungere.

Secondo diversi colleghi, non ha più senso mettere gli hreflang nello stesso sito web con le lingue diverse in sottocartella, perché Google riesce senza problemi a capire quali contenuti sono destinati ai diversi paesi esteri… certo, a patto che le traduzioni siano tali e non mere duplicazioni! 😀

Ti sembra troppo assurdo?

Sebbene l’esempio che ho fatto rappresenti un caso limite – purtroppo nemmeno tanto raro – tornando coi piedi sul nostro pianeta, là fuori è pieno di aziende che fatturano milioni (in Italia) con siti web in tre o quattro lingue diverse, pieni zeppi di contenuti che rimangono in italiano nelle versioni estere, perché nel momento in cui vengono messi online non ci sono ancora le traduzioni. Questo è un problema insidioso e frequentissimo, che si risolverebbe se i principali CMS che gestiscono shop online in regime di multilingua, avessero l’opzione che permette la pubblicazione solo per i Paesi per i quali esiste una traduzione in bozza. Sembra assurdo, ma per quanto ne so, quest’opzione va programmata da zero nella maggior parte dei casi. È roba da matti sul serio, perché quello che ho appena descritto è spesso IL problema alla base di centinaia di migliaia di pagine escluse dall’indice come Rilevate, ma non indicizzate, sostanzialmente perché sono tutti doppioni. Maledetti doppioni.

Oh.

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