Essere leader in un mondo complesso

Alessandro Cravera è fondatore e Senior Partner di Newton S.p.A. È membro della Faculty di ALTIS Università Cattolica e dell’Executive MBA di 24 Ore Business School, in cui insegna Leadership e sviluppo manageriale.

Si occupa di “management innovation” ovvero di ripensare l’organizzazione, la gestione e la strategia d’impresa in coerenza con le dinamiche evolutive dei sistemi complessi e di supportare le imprese nella loro evoluzione. Ha gestito numerosi progetti di cultural change per imprese italiane e internazionali.

Ha scritto “Essere leader in un mondo complesso“, edito da Egea nel 2024.

Ciao Alessandro, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?

Ciao Francesco, sono Senior Partner e Fondatore di Newton S.p.A, una società di consulenza e formazione che abbiamo costituito quasi 25 anni fa. Mi sono sempre occupato di leadership e di change management. Dal 2006 ho cercato di rileggere le prassi manageriali e i modelli di management alla luce dei principi della scienza della complessità, un argomento che mi appassiona da più di 30 anni. Nell’ultimo periodo mi sono focalizzato sui processi di decision making e di leadership in contesti complessi.

Come hai strutturato il tuo “Essere leader in un mondo complesso” e a chi si rivolge?

I miei studi sulla complessità mi hanno portato nel 2008 a scrivere il libro “Competere nella complessità”. In quel periodo pochissime persone mettevano in relazione complessità e management. È stato difficile creare un reale interesse su questo tema, ma lentamente si è diffusa la consapevolezza che i modelli di management tradizionali non fossero adeguati per accrescere la capacità competitiva delle imprese.

Nel 2020, con la crisi pandemica relativa al Covid-19, il mondo ha toccato con mano cosa significa vivere nella complessità, per cui ho deciso di tornare a scrivere su questo tema e ho pubblicato “Allenarsi alla complessità (EGEA 2021). Il libro ha avuto successo e ho visto crescere il desiderio delle imprese di capire meglio come adeguarsi a un mondo incerto e non lineare.

L’ultimo capitolo di quel libro rilegge la leadership in contesti complessi. Molti mi hanno chiesto di approfondire questo aspetto e così, anche alla luce della crisi di leadership che stiamo vivendo in molti ambiti, nel 2024 ho deciso di scrivere “Essere leader in un mondo complesso”.

Da quale momento (e perché) la leadership “tradizionale” smette di essere tale?

Il concetto di leadership, pur essendo studiato da decenni, non ha ancora una definizione universalmente accettata. Siamo abituati a considerare un leader una persona che detiene un ruolo decisionale, ha un seguito di follower e indica la direzione. I primi due aspetti pesano molto più del terzo. Chiunque, quindi, abbia la capacità di creare seguaci è considerato un leader anche se le decisioni che prende e la direzione verso cui porta la comunità che lo segue possono essere totalmente sbagliate o legate ai meri obiettivi personali del leader.

Siamo quindi abituati a considerare leader personaggi opposti come Hitler e Nelson Mandela e difendiamo questa idea di leadership introducendo i concetti di leadership tossica e di leadership distruttiva per spiegare queste distorsioni. Dal mio punto di vista, in un mondo complesso, quindi altamente interconnesso e interdipendente, non possiamo più permetterci questa idea di leadership. Nella complessità, solo chi sa gestire l’incertezza, comprendere il contesto e le sue evoluzioni future, gestire i diversi trade-off tipici di questa era e imprimere una traiettoria positiva per il sistema che sta governando, può essere considerato un leader. Gli altri, al massimo sono influenzatori, ma non devono essere visti come leader. Ecco perché nel libro parlo di wise leadership, ovvero di leadership saggia.

La saggezza è l’arte di agire in una prospettiva di bene comune bilanciando gli interessi in gioco e gli effetti nel tempo. Un leader saggio non ha bisogno di crearsi un nemico per generare i propri seguaci. Promuove azioni positive e sostenibili nel tempo. E in un mondo interconnesso come quello di oggi, tutti possono potenzialmente esercitare questa forma di leadership. Come scrivo nel libro, chiunque all’interno di un’organizzazione o di una comunità, prenda decisioni e interagisca con gli altri al fine di far evolvere le cose in una traiettoria più positiva e sostenibile, sta esercitando una forma di leadership, indipendentemente dal suo ruolo formale.

Quali pensi siano gli ambiti in cui è più rischiosa la carenza di leadership?

La leadership è in crisi in tutti gli ambiti: politico, aziendale e anche familiare. Se continueremo a considerare leader chi è mosso solo dal desiderio di creare un seguito ed essere riconosciuto come tale, promuoveremo persone affette da narcisismo e con un forte bisogno di consenso. Questo si ripercuote sulle loro capacità di esercitare un impatto positivo. In politica, ad esempio, le competenze che permettono di arrivare al potere, sono totalmente diverse da quelle che servono per amministrare la res publica.

Per creare un consenso occorre fare facili promesse, promuovere soluzioni semplicistiche e irrealizzabili e creare meccanismi tribali e divisivi in cui o si è con il leader o contro di lui. Queste competenze possono permettere di accrescere la visibilità e il seguito delle persone, ma di certo non aiutano a gestire la complessità, una volta raggiunta una responsabilità pubblica. Meccanismi simili riguardano le aziende e le organizzazioni e anche le famiglie. In questo caso oltre all’ego e al bisogno di consenso, spesso si inserisce anche un altro importante inibitore della leadership: il bisogno di controllo. Il leader deve avere tutto sotto controllo, decidere ogni cosa, e questo genera un contesto organizzativo e familiare che non aiuta a educare le persone a vivere e operare in un mondo complesso.

Qual è la via per determinare evoluzioni davvero positive del sistema di cui si fa parte?

Siamo abituati a un leader che ha tutte le risposte giuste e offre protezione. Questo genere di leader spegne il pensiero critico delle persone e non le aiuta a gestire autonomamente situazioni ambigue e incerte tipiche della nostra era. Dobbiamo favorire l’emergere di leader che sappiano mettersi in discussione, sappiano distinguere gli ambiti in cui esiste una risposta giusta, ottimale da quelli in cui l’unica risposta valida è contestuale, ovvero funziona solo qui e ora. Abbiamo bisogno di leader che sappiano farsi le giuste domande e gestiscano le persone evitando di dare solo soluzioni ma aiutandole a sviluppare un mindset utile per essere autonome, e crescere nella loro capacità di affrontare la complessità.

Per far evolvere in maniera positiva un sistema, il leader deve innanzitutto calarsi nel contesto reale, non affidandosi meramente a best practice del passato. Deve chiedersi costantemente “cosa sta accadendo?” Quali sono i fattori portati della situazione che devo affrontare”? Quali sono gli interessi in gioco e gli effetti nel tempo”? E sulla base di questa capacità di context reading deve muoversi in un’ottica di try&learn. Nella complessità non è possibile stabilire un piano ottimale e affidarsi alla mera execution dello stesso.

Ogni azione e decisione che il leader prende, cambia il contesto in cui si inserisce. Deve quindi essere rapido a comprendere questi cambiamenti, apprendere e decidere le prossime mosse. È un leader sicuro di sé, ma che non ha certezze o ideologie nella scelta delle sue strategie. È costantemente connesso con ciò che sta accendendo e con ciò che vorrebbe che accadesse nel futuro. Sa danzare con la complessità.

In ultimo, ci lasci qualche link per restare aggiornati sull’argomento?

Questo è un tema di frontiera, non è ancora mainstream. Il mio consiglio è di leggere tutto ciò che possa aiutare a comprendere il concetto di complessità e come si muovono i sistemi complessi. Questa consapevolezza darà molti spunti ai lettori per applicare idee nuove nel loro ambito di lavoro e nello loro scelte personali.

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