Ora che tutto è compiuto, adesso che la maggior parte dei siti web che visitiamo è ufficialmente fuori norma, possiamo fermarci un momento e riflettere su come tutta la storia della GDPR (General Data Protection Regulation) sia una metafora perfetta del modo in cui entriamo in contatto con le informazioni.
L’assunto è che le persone apprendono cosa sia giusto o sbagliato fare, nello stesso modo in cui i web master ottemperano ai nuovi obblighi di legge in merito di protezione dei dati personali sui siti internet: per sentito dire.
Il marketing del terrore
Aziende e consulenti privati si sono arricchiti e probabilmente continueranno a farlo nei prossimi mesi raccontandoci il modo “corretto” per gestire i dati personali, la pagina policy, i cookies. Abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto, oggi fidandoci di quella voce autorevole, oggi di quell’altra, in ogni caso evitando accuratamente di fare l’unica cosa che ci avrebbe chiarito una volta per tutte cosa fare: leggere con attenzione il regolamento sulla GDPR. Nel momento in cui demandi ad altri di spiegarti ciò che non hai voglia di approfondire in prima persona, presti il fianco a manipolazioni d’ogni sorta.
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Ho visto aziende sviluppare plugin a pagamento per WordPress con features che in breve tempo sono state ritenute indispensabili per la GDPR, salvo che nel regolamento ufficiale quelle cose in particolare non venivano richieste esplicitamente.
Ho visto influencer in ambito digital suggerire pubblicamente per TUTTE le aziende di investire migliaia di euro in adeguamenti perché i controlli “ci saranno eccome” e le multe saranno salatissime. Ho visto persone accapigliarsi per ore, discutendo di interpretazioni in quella che ormai è diventata un’autentica teologia: le aziende si inventano interpretazioni di un testo, dopodiché fanno marketing per affermare che tali interpretazioni sono la verità assoluta. Intanto altre aziende producono altre interpretazioni e fanno a loro volta comunicazione per smontare quelle degli avversari.
Marketing o religione?
Insomma, ognuno dovrebbe studiarsi la GDPR per conto suo, ma se stai pensando che l’apatia generale verso la presa di coscienza individuale derivi dall’accelerazione dei processi per mezzo del digitale blà blà blà, ti faccio notare che la Sacra Bibbia è il testo più stampato e diffuso al mondo, ma allo stesso tempo il meno letto. Circa due miliardi di persone praticano una religione di cui non hanno letto il testo Sacro. Se Benedetto Croce scriveva che nell’occidente nessuno può dirsi davvero “non cattolico”, io guardando fuori aggiungo che siamo tutti cattolici “per sentito dire”.
Per altro chi ci insegna la Bibbia non l’ha studiata quasi mai in ebraico, ma a sua volta ha assorbito le categorie esegetiche in base a cui si scriveva una cosa per intenderne un’altra. Stando alle traduzioni possibili, la Bibbia dice tutto e il contrario di tutto, esattamente come il regolamento sulla GDPR, che pur tuttavia non impone di sacrificare donne e bambini ad alcuna divinità.
Almeno quello ce l’hanno risparmiato, credo.
Il marketing che funziona sulla tua pelle
I marketers sanno bene che nessuno di noi è disposto ad approfondire ogni cosa, né avrebbe il tempo di farlo. Si chiama avarizia cognitiva, ed è su questo meccanismo mentale che riescono a venderci oggetti inutili per cifre sempre più alte, persuadendoci che non solo è giusto, ma necessario possedere uno smartphone di 900 euro che in realtà ne vale 80.
Quanto è successo nel mese scorso è emblematico di come funzioniamo, anzi, di come non funzioniamo. Ora hai davanti due scelte: puoi raccontare fregnacce per terrorizzare le persone e portarle a comprare i tuoi servizi, oppure puoi raccontare il tuo impegno e puntare a liberare gli altri, rendendoli autonomi, indipendenti da soluzioni vincolanti.
La prima strada è forse più remunerativa nell’immediato, ma la seconda è ciò che fa di te un brand.
Un brand.