Un paio d’anni fa il mio amico Riccardo Scandellari cominciò a riprendere un filone di pensiero secondo il quale i blog sarebbero finiti, o meglio non sarebbero stati più al centro della comunicazione di un professionista del web. Ho provato sulla mia pelle che Skande aveva ragione: dal 2014 ad oggi ho visto gradualmente l’interesse del mio pubblico di riferimento spostarsi dalla sola frequentazione del mio blog personale a quella dei diversi canali su cui ero presente. È dunque aumentata la frequentazione di piazze orizzontali e partecipate, rispetto alle quali Facebook è riuscito ad affermarsi attraverso pagine e soprattutto gruppi, le nuove vere community del web. Ma se finisse tutto? Se domani Facebook non esistesse più, cosa ne sarebbe di noi?
Immagino quasi 30 milioni di italiani (uno su due) costretti a una diaspora sanguinosa. Vedo ragazzini condividere i selfie su Linkedin, gli indignati della prima ora glorificare Ello (lo so che non ti ricordi, fa niente), Montemagno lanciare garbati strali su YouTube, per lui non cambierebbero granché le cose.
Le scuse di Zuckerberg
Qualche giorno fa il nostro padrone di casa virtuale che per brevità (e sperando non si offenda) chiameremo amichevolmente Mark, ha ammesso la sua responsabilità rispetto al caso Cambridge Analytica:«Se non sappiamo garantire la sicurezza dei vostri dati non meritiamo di servirvi, quindi farò di tutto per capire come sia stato possibile quanto accaduto e come fare in modo che non si verifichi mai più». Certo, 6 punti di quotazione in meno a Wall Street rappresentano miliardi di dollari in credibilità sfumata. Un colpo durissimo per l’establishment di Facebook, ma non mortale. Piuttosto per me la riflessione è un’altra: se le persone perdono interesse nella frequentazione di facebook, non è per la paura di vedere i propri dati personali riutilizzati da chi tira i fili del mondo, perché alla privacy abbiamo rinunciato tutti fin dalla fine degli anni ’90, semplicemente accedendo al web. Se l’attenzione verso “il” social network diminuisce è perché le persone si svegliano dal torpore… e paradossalmente dobbiamo questo risveglio proprio ai social network, a facebook in particolare.
Troppi gattini
Oh, mica si stanno svegliano tutti, sia chiaro! Una bella fetta di utenti facebook tuttavia è riuscita a venir fuori dal loop voyeuristico, grazie al loop stesso. Come dire, proprio la saturazione di videoricette, video motivazionali pieni di frasi fatte e immagini di gattini spruzzate a guarnizione, hanno fatto scattare un risveglio in molti animi assopiti. La perdita di interesse verso la comunicazione “random” ha prodotto contromisure nell’algoritmo di composizione della timeline, in base alle quali ora vediamo più post di amici veri e meno notizie generiche. Un bel colpo per chi ha costruito il proprio business sulle ADS di facebook, ma un passo indietro necessario a tenere insieme la “base”.
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Al di là degli scenari fantapolitici, Mark ha capito di aver tirato troppo la corda e sta provando (ormai da mesi) a far tornare facebook un (non) luogo di convivenza piacevole. Ci riuscirà? E che ne so io, ho fatto sociologia, mica ho la palla di vetro!
Possiamo fare a meno di facebook?
Per molti professionisti del web la risposta è assolutamente no, ma mentre Skande sta piano piano riportando l’attenzione su quanto adesso è bello e utile il blog (che non si sa mai), io vorrei fare un commento molto semplice e quasi banale.
Anzi, proprio banale.
Essere social non significa avere una buona presenza nei social network, e per la precisione non significa saperci fare su facebook. Essere social significa saper stringere relazioni vere e utili con alte persone in base ai propri bisogni e alle necessità. Ti sorprenderà sapere che esistevano persone social anche negli anni ’90, dicono addirittura prima. Quando sei social non ti serve un gruppo su facebook, non hai bisogno del blog e nemmeno del mega canale YouTube. Non ti serve niente di tutto questo in particolare. Quando sei social, il modo per “essere” insieme agli altri lo trovi.
Stai senza pensieri.