L’anonimato nei social network è un bene?

Qualche tempo fa un’utente anonima del gruppo dei Fatti di SEO ha postato un articolo scritto di proprio pugno in difesa dell’anonimato in rete. La questione mi sembra dannatamente importante oltre che difficilmente sopravvalutabile, così mi ci sono messo a ragionare, ché magari ne viene fuori pure qualche spunto buono per fare comunicazione. Ti va di fare il punto con me?

Dunque, la critica alla trasparenza a tutti i costi, che oggi verrebbe imposta dai grandi social network (e magari ci riuscissero), viene argomentata sostenendo che l’internet, nato come luogo di libertà espressiva dovrebbe essere l’ambiente in cui le idee possono circolare liberamente, invece la “dottrina” della trasparenza radicale online avrebbe modificato tale percezione, spingendo gli utenti a condividere i propri dati personali, generando un controllo costante che sarebbe proprio il contrario di quella libertà di espressione originaria.

Ecco, ora sebbene io sia il primo a sentirmi eufemisticamente osservato dalle varie compagnie che trattano – a vario titolo – i miei dati personali, devo fare alcune considerazioni, alcune da utente, altre da admin di una community.

Da utente sono preoccupato che la libertà espressiva a cui si fa riferimento nell’articolo, venga confusa per quella di dire tutto ciò che passa per la testa, senza filtri, a maggior ragione perché si è nascosti dietro un profilo anonimo. Nell’articolo si fa riferimento al fatto che esistono gli strumenti tecnologici che consentono di perseguire i reati perpetrati dietro un profilo anonimo, ma nella realtà dei fatti non è sempre così, perché chi compie truffe online usando nomi falsi, può facilmente rendersi non tracciabile utilizzando una VPN o mascherandosi anche in modi più sofisticati. E lo fanno di mestiere…

Aggiungo che per quanto riguarda il reato di diffamazione, gli utenti normali non hanno gli strumenti per procedere alla querela verso un profilo anonimo, a meno di non spendere cifre importanti per far tracciare il profilo e risalire all’identità di chi ha commesso il reato.

Al contrario – e qui parlo da admin di un gruppo facebook storicamente incandescente – se i social rendessero obbligatoria la certificazione dell’identità di tutti gli iscritti, ci sarebbe da un lato maggior possibilità di attribuire le parole a chi le ha scritte e dall’altra, una maggior responsabilità da parte degli utenti. Quindi semmai la mia opinione è che ci vorrebbe più controllo, non meno controllo.

Così come la legge italiana vieta ai cittadini di girare per strada a volto coperto, allo stesso modo (e per gli stessi motivi) i social network dovrebbero certificare l’identità di chi li usa. Secondo me obbligare gli utenti ad assumersi sempre la responsabilità di quello che scrivono, renderebbe il web un posto realmente migliore. Quello che credo non sia chiaro all’autrice dell’articolo che contesto è che ormai i primi tempi del web sono lontanissimi e quello di oggi non somiglia più all’internet di vent’anni fa, proprio per niente.

E mi rivolgo direttamente a te che quell’articolo lo hai scritto, per dirti che le big corporation possono clusterizzarti anche se ti fai chiamare Anguilla Angui o Pinco Pallino, perché se è vero che non conoscono il tuo nome né il tuo aspetto fisico, conoscono molto probabilmente quello che gli serve sapere per provare a offrirti prodotti e servizi che potrebbero interessarti. In questo senso abbiamo tutti un codice a barre disegnato sulla maglietta, che sia visibile oppure no.

A me par di capire che i motivi per cui resti anonima sono ben spiegati nel racconto del tuo passato che si legge nel tuo blog, in virtù dei quali la scelta di anonimato appare del tutto condivisibile. Motivi che capisco e che certamente rispetto, ma che non credo c’entrino con la critica della trasparenza sull’identità. Per capirci, nel tuo caso specifico, io non credo che tu resti anonima per questioni di tracciamento delle informazioni personali, ma perché non hai piacere che il tuo nome venga associato al tuo racconto di vita.

Detto questo mi fa piacere concludere con una nota personale: il modo di fare blogging di Anguilla, compresa la scelta di anonimato, mi ha riportato indietro nel tempo fino a un internet diverso che per molti versi preferivo a questo. Un tempo il web era il luogo in cui conservare un diario virtuale della propria esperienza, come una scatola segreta a cui affidare messaggi per i posteri o magari destinati a disperdersi nella rete come granelli di sabbia nel vento. Oggi non siamo nemmeno più alla condivisione e alla partecipazione, ma alla convivenza piena, in cui sentiamo quasi l’odore di chi commenta sotto un nostro post, neanche ce l’avessimo seduto di fianco.

È certamente un paradiso per chi si occupa di marketing, ma qualcosa si è perso, anzi, si è perso tanto.

One Response

  1. anguilla83 12/10/2024

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