Le logiche del marketing funnel esistono da decenni, ma è solo grazie all’avvento del dominio digitale e con esso alle dinamiche legate al trattamento dei big data, che si è riusciti a ragionare di percorsi e statistiche a livelli mai raggiunti prima. Da sociologo non posso che sorprendermi della “solidità” che si riesce a raggiungere nelle attribuzioni di valore rispetto a campagne di web marketing rivolte potenzialmente a centinaia di migliaia di persone. Una delle persone più autorevoli a cui fare domande nel merito è la mia amica Alessandra Maggio, che ringrazio per l’intervento.
Ciao Alessandra, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?
Ciao Francesco, attualmente sono Head of Performance in Social Factor, digital agency di Bologna. Nello specifico mi occupo di tutto quello che è performance: dal paid advertising all’analisi dei dato passando per il monitoraggio e la struttura dei percorsi di conversione e via discorrendo. Il raggiungimento dei risultati (trovando le modalità giuste per farlo) è la base del mio lavoro quotidiano.
In poche parole, qual è la differenza tra remarketing e retergeting?
C’è una differenza oggi concettuale che in passato è nata come differenza solo “commerciale”. Oggi col termine Retargeting si parla di tutte quelle campagne che operano tramite i cookie, mentre per Remarketing s’intende l’attività che opera sulle mail degli utenti, sul database. È una differenza, però, recente. In principio serviva a differenziare tutto ciò che era Google (Remarketing) dalle altre piattaforme che permettevano campagne di questo tipo: Criteo, Facebook, ecc.
Nelle logiche di funnel, dove si inseriscono le sponsorizzazioni?
Il Retargeting, in realtà, s’inserisce ovunque vi sia necessità di fare follow up sull’utente che in qualche modo ha già manifestato un interesse verso il prodotto che offriamo, verso un contenuto prodotto, verso le nostre pagine social, ecc. Di fatto è un meccanismo che consente di presidiare alcuni step del percorso di conversione. Io, spesso, affermo che è l’anima della pubblicità: attraverso un’esposizione prolungata nei placement giusti, l’utente viene spronato a compiere un’azione e/o a ricordarsi del marchio.
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Nelle logiche di funnel possiamo dire che funge da ponte da una fase all’altra: se il traffico costruito nella fase precedente è qualitativo il Retargeting mi consente di passare alla fase successiva.
Come funzionano le campagne di “profanazione” rispetto al GDPR?
Oddio, il termine profanazione è fantastico 🙂
Se posso permettermi un moto di onestà completa credo che il GDPR sia stato (purtroppo) un argomento di discussione tra gli addetti ai lavori e basta. Ho avuto la percezione che per il resto del mondo non fosse di alcun interesse. Nelle mie strategie non ha avuto un grosso impatto e credo che se il traffico di base sia stato costruito in qualità, difficilmente si possano incontrare ostacoli alle performance generati dal GDPR. Poi sulla profilazione, sulla mole di dati immagazzinati dalle piattaforme e su tutto questo dibattito credo si apra un mondo di discussione e un mondo di controsensi, e la facilità con cui abbiamo dato le nostre foto a FaceApp (per citarne una) credo ne sia l’esempio più concreto e recente.
Qual è il segmento di mercato più difficile su cui si può lavorare e perché?
Non esiste un segmento difficile per antonomasia. Credo che oggi la fatica stia nel reperire risorse economiche per poter entrare in determinati settori, soprattutto se ci riferiamo al paid advertising (ma anche la SEO non se la passa meglio). Ormai una buona parte delle SERP è occupata da big di settore con account datati e forti da un punto di vista di storico, riuscire a scalfire questo predominio richiede non solo budget ma anche tanta logica strategica per trovare percorsi alternativi e per provare, nel tempo, ad abbassare questi costi.
Quali sono gli errori più comuni per chi fa il tuo mestiere?
Tre sono gli errori che trovo sempre più di frequente: il primo è il sentirsi arrivati solo per aver raggiunto una foto profilo con tanto di badge e microfono in mano. Questa è una professione in continua evoluzione, soprattutto chi lavora in agenzia (il freelance è più costretto a questo) ha il dovere di inserirsi in un percorso di formazione continua dove nulla è dato per scontato. Il secondo è ricorrere a strategie preconfezionate solo perché di moda. Il terzo è (ancora, purtroppo) ignorare l’analisi dei dati e di conseguenza far passare il nostro lavoro per una disciplina “debole”, priva di struttura. La nostra professione è fatta soprattutto di analisi perché per implementare e verificare qualunque pezzettino della strategia è necessario spaccarsi la testa sui numeri, dargli un’interpretazione e lasciarsi uno spazio di testing. Tutto il resto è noia 😉