Scrivi e lascia vivere

Valentina Di Michele è una professionista che ha molto a cuore i temi del linguaggio e dell’accessibilità. Insieme ad Andrea Fiacchi e Alice Orrù, ha scritto Scrivi e lascia vivere, un testo uscito per Flacowski nel 2022… il mio editore preferito. Giacché il tema dei contenuti diventa urgente e spinoso in questo periodo, ho pensato di sottoporle alcune domande che spero troverete interessanti.

Ciao Valentina, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?

La mia attività ruota intorno ai contenuti e al linguaggio, e in questo momento, accanto allo sviluppo di content tecnico per app e software, sto lavorando molto con i temi dell’accessibilità. Le aziende si stanno avvicinando in massa alle scadenze previste dalla normativa e naturalmente una parte importante riguarda i contenuti. Con il mio studio, Officina Microtesti, ci stiamo occupando di molti progetti di adeguamento che tocca tutti i contenuti: audiovisivi (sottotitoli e alt text) e testuali.
Accanto alle attività di consulenza abbiamo molte richieste da parte di organizzazioni che vogliono creare percorsi di formazione sui temi dei linguaggi inclusivi e della D&I. È un tema molto sentito: migliora i flussi di comunicazione e porta grandi vantaggi nella gestione delle persone.
In ultimo, sto organizzando la seconda edizione del Festival DiParola dedicato ai linguaggi chiari inclusivi e accessibili, seguito l’anno scorso da oltre 4000 persone e che quest’anno si aprirà a una platea ancora più ampia e che avrà ospiti con grande esperienza.    

Come hai strutturato il tuo “Scrivi e lascia vivere” e a chi si rivolge?

“Scrivi e lascia vivere” è nato da un lavoro corale e molto stretto con due persone che stimo moltissimo, Alice Orrù e Andrea Fiacchi. È il primo manuale italiano dedicato ai linguaggi inclusivi in senso ampio, e per questo abbiamo deciso di toccare alcuni tra i temi più sentiti e discussi.

L’abbiamo pensato per chiunque si occupi di parole: le parole sono lo strumento con cui veniamo in contatto col mondo, lo rappresentano. 

Nella nostra testa, lo vedevamo come una guida pratica per chi scrive, ma oltre le nostre aspettative è arrivato nelle scuole secondarie, è stato adottato come testo in Università prestigiose, scelto in ambito HR. Ci hanno invitato a parlarne tra associazioni stampa, di pubblicità, di traduzione e anche in un corso per le Forze Armate. 
Il libro è diviso in tre parti, secondo uno schema che va dal generale al particolare. Abbiamo scelto di iniziare dal tema dell’identità e dalle basi psicologiche, cioè da come nascono stereotipi e pregiudizi e come si trasformano in discriminazione. 

La seconda parte è dedicata ai linguaggi inclusivi: quello di genere, la rappresentazione della pluralità, la discriminazione per età (o ageismo), nei confronti della disabilità (o “abilismo”) e delle condizioni socio-economiche. La terza parte parla di accessibilità, con i principi di progettazione dell’interfaccia e dei microtesti e le regole di creazione di contenuti accessibili per il web.     

Come si evitano le generalizzazioni e quali sono i contesti in cui è più utile provarci?

Le generalizzazioni sono uno dei modi che usiamo, anche inconsapevolmente, per prendere decisioni rapide e risparmiare sforzo cognitivo. Se visito un Paese e ho un’esperienza negativa, al ritorno applicherò quella valutazione a tutto ciò che riguarda quel Paese e chi ci vive, anche se in realtà l’esperienza negativa era legata solo ad alcuni aspetti. 

Faccio un esempio: visito una città e mi rubano il portafogli. Una possibile conseguenza sarà pensare che il furto sia una caratteristica delle persone che vivono in quella città. E, una volta a casa, potrei decidere di non avere nulla a che fare con chi arriva da lì perché “sono delinquenti”. In realtà una sola persona mi ha derubato, ma ho generalizzato l’evento applicandolo alla collettività. 

L’esempio spiega come nasce uno stereotipo: una generalizzazione alla quale aderiamo e che diventa un nostro “bagaglio”. Gli stereotipi sono alla base dei pregiudizi, sentimenti di antipatia fondati su generalizzazioni false e inflessibili, come scrive Gordon Allport nel libro La natura del pregiudizio

Naturalmente, le generalizzazioni non sono solo una gabbia per chi le subisce: se penso che chi ha un certo colore della pelle abbia una propensione per la delinquenza, metto un macigno su quella persona ma restringo anche molto la mia visuale e le mie possibilità e conoscere e di allargare le opportunità da un punto di vista culturale, sociale, economico. 

Proviamo a immaginare tutto questo su larga scala: come pregiudizio nei confronti di una persona che è venuta a vivere accanto a noi o di che lavora nel nostro ufficio. 

Stereotipi e pregiudizi sono comuni anche nei titoli dei giornali e contribuiscono a diffondere l’idea che il male ci stia circondando. Generalizzare non è mai un bene quando tocca altre persone: quindi in quasi tutta la nostra esperienza di vita.

Trovare le parole giuste può renderci tutti più liberi? E in che modo?

Penso che tutto quello che pensiamo, diciamo, facciamo abbia conseguenze. A volte sono microscopiche, e ci sembra che non esistano quasi. In realtà le parole raccontano come vediamo la realtà: definire con una certa terminologia vuol dire creare una divisione fra giusto e sbagliato che vale una volta per tutte, in modo generale e immutabile.

Eppure, molti studi dicono che cambiare la terminologia ci aiuta a non vedere la realtà in modo più elastico, a dare possibilità alle altre persone ma anche a noi.

Il linguaggio che discrimina racconta la nostra paura di contaminazione, paura che quello che non conosciamo abbia il sopravvento e che ci porti in un territorio ostile. E quindi ci difendiamo, scegliendo attraverso le parole di mettere in chiaro chi detiene il potere. Quando bolliamo delle persone con etichette che descrivono caratteristiche fisiche o cognitive o scelte di identità stiamo dicendo: tu lì e io qui. 

Mi racconto di essere migliore, così resterò nella mia zona di comfort e respingerò ogni tentativo di cambiamento.
Ma l’essere umano è permeato dal cambiamento. Non si ferma l’oceano con un muro: imparare a nuotare e accogliere l’acqua ci permette però di continuare a vivere e magari scoprire che, al contrario di quanto pensavamo, in mare si vive benissimo.
 

Quali sono gli errori più comunemente commessi da chi lavora con la scrittura?

I linguaggi inclusivi sono un tema relativamente nuovo e il dibattito è in ancora in costruzione. La stessa etichetta cambia: oggi si tende a parlare di linguaggio ampio o rispettoso, per esempio. 

Molti errori nascono dal modello mentale: ho l’abitudine a parlare di una cosa perché “si è sempre fatto così” e quindi non faccio caso al linguaggio.

Di recente, in un articolo su un caso di femminicidio, si parlava della famiglia della vittima e di un parente pregiudicato. Quel parente non c’entrava nulla con la vittima e con l’omicidio, ma accostato dava quasi l’idea di una sorta di “marchio”, una colpa legata alla donna uccisa. 

Stereotipi e pregiudizi sono fra noi. La scrittura rappresenta la nostra visione del mondo.
Se in un modulo di iscrizione chiedo la professione e scrivo “segretaria” e “imprenditore”, do per scontato che una professione sia solo per donne e una per uomini.
Se scrivo “riservato solo a ingegneri”, le ingegnere possono iscriversi? Sembra un’inezia, eppure il linguaggio è il mezzo con cui comprendiamo la realtà, e piccole modifiche cambiano completamente il senso del racconto. 

In ultimo, ci lasci qualche link per restare aggiornati sull’argomento?

In Italia c’è molto dibattito su questo tema, e si continuerà a parlarne per molto tempo.

Le voci da seguire sono tante: c’è molto attivismo su temi specifici (per esempio, la disabilità, le persone trans etc) ma anche chi si occupa di questi argomenti in modo trasversale. 

A Officina Microtesti (www.officinamicrotesti.it) organizziamo eventi e diffondiamo materiali utili su linguaggi inclusivi e accessibilità.
Consiglio sicuramente il Festival DiParola (www.diparolafest.it) che si tiene a ottobre anche online, dedicato proprio al linguaggio chiaro inclusivo e accessibile.
Una super esperta di settore è Alice Orrù, che scrive una bellissima newsletter chiamata Ojalà (https://www.aliceorru.me/newsletter/) e ha creato un bel corso sul linguaggio inclusivo di genere (https://caipiroskalab.it/shop/corso-ux-writing-inclusivo/).

Molto interessante è anche il podcast Amare Parole della linguista Vera Gheno (https://www.ilpost.it/episodes/podcasts/amare-parole/) 

E poi Linkedin: oltre a me (https://www.linkedin.com/in/valedimichele/) consiglio di seguire Roberta Zantedeschi, che parla di linguaggio ampio e mondo del lavoro (https://www.linkedin.com/in/robertazantedeschi/) e la bravissima Elena Panciera (https://www.linkedin.com/in/elenapanciera/).

Da questi profili è possibile arrivare a quelli di chi fa attivismo ed entrare in questo mondo variegato e davvero ricco in termini di esperienze e di visione del mondo.

Rispondi all'articolo

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


The reCAPTCHA verification period has expired. Please reload the page.