Sui giornali che “costringono” ad abbonarsi

Qualche giorno fa ho visto l’ennesimo screenshot di Repubblica che mostra l’informativa in cui viene richiesto se accettare tutti i cookie di profilazione o rifiutare e abbonarsi ai contenuti premium del giornale. Ci si indigna perché internet non è più gratis. Perbacco!

Esiste un internet gratuito? No, niente di quello che fruiamo sul web è gratis, a parte forse qualche “diario di viaggio” privato su cui pure capita di atterrare, ma proprio per caso. I contenuti “gratuiti” che fruiamo di continuo, esistono praticamente solo per farti cliccare sulle pubblicità, ma questo lo sai.

Ciò che invece molti fanno finta di ignorare è l’esistenza di contenuti che non vengono sparati online solo per acchiappare click, ma per fare approfondimento a fronte di studio, verifica delle fonti ed esperienza sul campo. Sì, esistono davvero e pensa un po’, per leggerli ti chiedono di sottoscrivere un abbonamento.

Indignazione insipiente

Premettendo che al momento non esistono norme che vietano di comportarsi come fanno Repubblica o altri giornali, mi permetto di ipotizzare che chi lamenta un sopruso nella chiusura descritta sopra, probabilmente non distingue un articolo di approfondimento giornalistico da uno che tratta le tesi sul terrapiattismo o riporta le ultime news sulla terra cava. Queste persone spesso non sono solo ignoranti, ma insipienti, vale a dire che proprio rifiutano di conoscere. Quando manca completamente l’impegno intellettuale, si diventa come zombie a caccia di qualunque brandello di informazione possa confermare l’ipotesi più rassicurante, che spesso pone la responsabilità di quanto accade al di fuori della nostra portata.

I professionisti e gli sciacalli dell’informazione

Gli indignati di cui sopra si lamentano spesso della superficialità dei “professionisti” dell’informazione, senza aver mai letto un giornale vero in vita loro. Ma finché leggi solo roba gratuita, va da sé che il livello di approfondimento sarà basso e quindi tale da portarci a ridurre le cose a bianco o nero.

E insospettabilmente, ancora nel 2023 il giornale cartaceo resta il massimo dell’approfondimento possibile. È stato calcolato che tutte le parole pronunciate nel corso di un telegiornale RAI, non riempiono nemmeno la prima pagina di un quotidiano cartaceo e mediamente gli articoli di giornale web gratuiti sono composti da 300 o 400 parole. Lo capite di cosa parliamo?

Nella superficialità dilagante, gli utenti che trovano l’accesso condizionato all’abbonamento, finiscono spesso col lamentare l’ingiustizia per il divieto d’accesso a un “bene comune” come l’informazione. Ora a parte che non tutti i contenuti di questi giornali sono condizionati all’abbonamento, si confonde il diritto all’informazione con il dovere che un editore avrebbe di farti leggere il giornale gratis.

E questa cosa non sta scritta proprio da nessuna parte, men che meno nella nostra Costituzione.

Non conoscere la differenza

Fa bene dunque un editore a chiudere i propri contenuti di approfondimento e fanno bene a pagarli quegli utenti che hanno ben chiara la differenza tra il non conoscere un argomento e il non voler conoscere un argomento. Là fuori è pieno di persone che in ogni caso andranno alla ricerca di qualunque straccio di notizia falsa messa online da vecchi e nuovi accattoni digitali. A tanti basterà confermare le panzane che sentono sui numerosi canali YouTube di santoni post moderni che raccontano di come siano in atto piani transnazionali per il depopolamento degli asini, nell’attesa che il Messia torni sulla terra alla guida di schiere di extraterrestri sulle astronavi spaziali.

Col tempo, neanche tanto, si finisce col non riconoscere più la differenza tra chi sa le cose e chi se le inventa. Per me vale la pena pagare un obolo per leggere i primi. I secondi amo ascoltarli la sera, perché i loro racconti mi conciliano il sonno.

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