Marco Tomasone, esperto di personal branding, mette il dito sull’importanza dell’essere onesti con se stessi come condizione di partenza per intraprendere il percorso che porta ad affermare la propria figura professionale.
Il suo mi sembra (finalmente) un approccio lucido all’argomento, perché non considera solo il messaggio, i canali e i modelli comunicativi, ma tiene conto delle resistenze che normalmente le persone possono avere ad un percorso di questo tipo. Non ha senso parlare di quanti post pubblicare su facebook e di quali immagini condividere se non riesci a tirare fuori il valore che tieni chiuso dentro di te.
Era ora che qualcuno la mettesse giù in questi termini. Grande Marco!
Ciao Marco, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?
Ciao e grazie per questa interessante opportunità. Oggi posso dire di essere completamente focalizzato sulla consulenza strategica in personal branding. Per farla semplice posso dire che cerco di aiutare le persone, i professionisti, ad acquisire maggiore consapevolezza nei propri mezzi. Si lavora quindi sulla propria reputazione, modulando, di fatto, la propria percezione verso binari di affidabilità e credibilità. Il mio obiettivo è quello di far diventare la persona “l’opzione preferibile” nei processi di scelta del mercato; farla percepire come “esperta” in modo da sbaragliare la concorrenza. Negli ultimi anni ho decisamente virato verso la consulenza individuale. Preferisco lavorare con le persone, scavare nel loro io, evidenziare talenti nascosti e -nei limiti del possibile- sbloccare quei freni che ne limitano la piena realizzazione. Lavoro anche con aziende, anche se lì, per forza di cose, il discorso diventa un po’ più generico ed impersonale.
Qual è la resistenza più forte che trovi nelle persone che segui?
Bella domanda. Ogni mio percorso di consulenza in personal branding inizia con una forte componente introspettiva. L’unica cosa che pretendo dal mio interlocutore è la sincerità nelle risposte. Ed è proprio questa sincerità che, spesso, mette in difficoltà le persone. Attenzione non sto dicendo che iniziano a mentirmi. Iniziano a mentire a loro stessi. Fanno molta fatica ad evidenziare non tanto i loro punti deboli (siamo tutti abbastanza bravi a flagellarci e criticarci), ma -paradossalmente- stentano ad elencare le cose in cui hanno successo. Fanno fatica a definirsi “bravi” in un determinato campo. Come se fossero avvolti da un alone di incapacità inconscia che -di fatto- è solo nella loro mente, ma non in quella di chi lo osserva.
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Dal punto di vista strategico un’altra grande difficoltà è la poca volontà di investire tempo. Molti si perdono per strada pensando che il personal branding sia un percorso breve. Se non si è disposti a mettere sul piatto della bilancia tempo, pazienza e costanza allora tutto diventa abbastanza inutile. I risultati non arriveranno. Ripeto sempre che possono bastare anche 10 minuti al giorno per coltivare il tuo brand. Spesso, però, non si trova il tempo nemmeno per quelli.
Il personal branding è solo per professionisti o anche per aziende strutturate?
Il personal branding è per tutti coloro voglio promuovere e potenziare il proprio brand. Dal singolo professionista all’azienda più complessa. Ancora oggi, però, noto che alcune aziende pensano che potenziare i brand dei propri dipendenti possa, alla lunga, rivelarsi come una sorta di autogoal. Una volta un imprenditore mi disse: “li formo, li faccio diventare delle star e poi se ne vanno”. Ecco questa è l’ottica sbagliata. Le aziende, piccole o grandi che siano, devono trasformare i propri dipendenti in ambasciatori di marca autorevoli. In questo modo ci sarà sempre un win-win dove entrambe le parti non potranno che trarre benefici. Il rischio di perdere un dipendente c’è sempre. Fa parte della logica delle cose. E non sarò tarpando loro le ali che si eviterà questa situazione. A tale proposito mi piace sempre adottare una metafora calcistica: se vuoi vincere il campionato preferisci avere una squadra di brocchi anonimi o campioni blasonati? È vero i campioni attraggono le attenzione degli altri club, ma nel frattempo ti fanno alzare trofei…
Si può fare personal branding senza campagne sponsorizzate?
Domanda difficile. Diciamo subito che il personal branding non si fa solo online. Anche se di moderna definizione il personal branding è sempre esistito. Dal biglietto da visita all’elevator pitch, passando per libri e conferenze, sono tanti gli strumenti per propagare il proprio brand nel “mondo reale”. Tuttavia è innegabile che l’ascesa dei social abbia consolidato l’associazione di idee (errata) personal branding=social network. I social sono solo un potentissimo amplificatore di contenuti e come tali vanno trattati. Rispondere alla domanda non è semplice. Molto dipende dal social in cui vogliamo promuoverci. Lungi da me scendere in dettagli tecnici (non ne sarei nemmeno capace più di tanto), ma sai meglio di me che Facebook di organico ormai non ha nemmeno più i rifiuti 🙂 Sul social di Mark Zuckerberg investire in sponsorizzate per ottenere qualche risultato è ormai obbligatorio. Non hai molta scelta. Diverso il discorso su LinkedIn ad esempio. Qui la risposta organica è ancora molto soddisfacente. Si possono ottenere buoni risultati in fatto di personal branding semplicemente costruendo con cura il proprio network ed, ovviamente. proponendo contenuti di valore.
Per sviluppare il proprio personal brand bisogna essere una po’ egocentrici?
Ho preso una dura posizione ultimamente sul tema e qualcuno si è pure offeso. L’ego centrismo non ha nulla a che vedere con il personal branding. È la sua deriva. Un parassita che lo divora dall’interno trasformandolo in qualcosa di completamente diverso. Un qualcosa che ho battezzato ‘Ego Branding’. Il personal branding ha senso se comparato agli altri. E’ apporto di valore. È essere utili. È condivisione. L’ego branding è pura autocelebrazione imbellettata da un buonismo e da un utilitarismo bieco e malsano. Un Ego brander lo riconosci subito. Presenta dei sintomi ben precisi (vedi il mio articolo “10 sintomi per capire se soffri di Ego Branding” ndr). Antepone la promozione della propria immagine, di quello che fa e di come lo fa, al reale apporto di valore che può dare al pubblico. E’ schiavo del numero di follower e delle vanity metrics in generale. Cerca solo discepoli in grado di nutrire costantemente il suo ego.
In definitiva, chi deve curare il proprio brand personale e perché?
Devo ripetermi e dirti che tutti dovrebbero fare personal branding. Nel lavoro ma non solo. Il personal branding aiuta ad essere persone migliori. Promuoversi al meglio come affidabili, credibili e utili credo sia un importante punto di partenza per creare una società migliore. In ambito strettamente professionale, inoltre, il personal branding è fondamentale per rimanere competitivi e “pilotare” le scelte del cliente verso di noi. Consideriamo, inoltre, la costante avanzata dell’intelligenza artificiale che sta divorando professioni con una velocità spaventosa. È necessario fare leva su quelle variabili che le macchine non possono avere. L’empatia su tutte. Capiamo i problemi dei nostri clienti. Caliamoci nel loro mondo. Comprendiamone i problemi; anticipiamoli se possibile. E proponiamo soluzioni. Se riusciamo in questo, non ci sarà macchina, robot o applicazione che potrà sostituirci.