Valeria Sebastiani è la persona che mi ha chiarito una volta per tutte cosa tenere in considerazione tra strumenti e impostazione mentale, per analizzare la resa di un Brand aziendale e/o personale, soprattutto per isolare linee guida di comunicazione a partire dall’analisi delle conversazioni online. Dalla disamina escono fuori indicazioni utili a sviluppare il piano strategico.
Tieni presente.
Ciao Valeria, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?
Ciao, Francesco! Il mio compito principale è curare le strategie di comunicazione dei clienti dell’agenzia in cui lavoro, IsayWeb. Il grosso del mio lavoro riguarda la definizione delle strategie: dopo aver compreso gli obiettivi del cliente e aver analizzato scenario, target, opportunità e minacce, realizzo dei piani di marketing e comunicazione. È un lavoro di regia: pianifico le attività da portare avanti su ogni touchpoint, principalmente nel panorama digitale, per raggiungere gli obiettivi mantenendo una identità chiara e coerente, lavorando in sinergia con il team creativo e gli account di progetto. Seguono poi le fasi di analisi e revisione delle strategie. Il successo di queste fasi dipende molto da quanto bene si sono definiti i KPI nella fase di startup. Da qualche mese mi occupo anche di un progetto speciale per un cliente operante nel settore finance, in cui il focus è la costruzione e difesa della reputazione del cliente attraverso l’analisi incrociata di molti dati, dal rendimento delle campagne online, alla soddisfazione dei clienti e dipendenti dell’azienda, fino all’analisi delle conversazioni su web e social e alle opinioni della stampa. È un progetto molto ampio e stimolante, stiamo ottenendo ottimi risultati grazie alla forte empatia e collaborazione che si è creata con i diversi dipartimenti interni di marketing e risk management del cliente. In più, mi aggiorno quotidianamente su Big Data, IoT e AI. Stiamo vivendo una fase di grande trasformazione tecnologica e sociale che cambierà radicalmente i paradigmi della comunicazione d’impresa come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi ed è necessario essere informati per non restare indietro.
Come si monitorano le conversazioni online? Cosa guardi in particolare?
Bisogna saper fare le giuste domande, che in termini pratici vuol dire: conoscere bene il cliente, i suoi punti di forza e debolezza, conoscere le caratteristiche dei diversi touchpoint e luoghi di conversazione e usare i giusti tag e le giuste keyword per ogni tipo di “domanda” che si vuole porre al sistema. Generalmente scrivo un documento a monte in cui definisco diversi tag e keyword associate a diverse tematiche, una pianificazione tecnica che funge da bussola e permette di seguire una linea di analisi coerente nel tempo.
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Cosa guardo in particolare? Dipende molto dal motivo per il quale sto facendo listening della rete e, ovviamente, dal tipo di cliente e industry. Volendo generalizzare, diciamo che do maggiore importanza alla rilevanza, all’autorità e al potenziale virale delle fonti dalle quali provengono le menzioni, a quanto la loro opinione può condizionare quella degli altri, sia che si tratti di testate giornalistiche sia di utenti comuni. È vero che il web è un’unica grande piazza, ma c’è sempre un angolo più affollato di altri, con un pubblico più consapevole su determinati temi e divulgatori con maggiore carisma.
Come ti muovi per fare benchmarking? Che strumenti utilizzi?
Dipende dal tipo di benchmarking, in questa fase reputo fondamentale il “perché”. Perché sto facendo benchmarking? Cosa mi aspetto di scoprire riguardo i competitor dell’azienda? Voglio analizzare cosa influenza la scelta d’acquisto dei vari segmenti di target? Sono a caccia di case history social vincenti? Voglio scoprire su quali parole sono posizionati i competitors sui motori di ricerca? Voglio trovare punti di debolezza dei competitors e rafforzare la Value Proposition del mio cliente? Da questo punto di vista il miglior strumento è, come sempre, il metodo: definisco gli obiettivi, catalogo le tematiche, definisco competitor – diretti e indiretti – scelgo dei parametri di paragone, sviluppo una comparazione elaborando le informazioni e aggiungo commenti qualitativi sulle strategie da percorrere. Per farlo, concretamente, mi sono sempre affidata a diversi strumenti a seconda della tipologia di analisi di benchmarking e degli aspetti da analizzare. Ad esempio, utilizzo SEMRush, Social Insider, FanPage Karma, Similar Web, Ubersuggest, WhooRank, BuzzSumo. Gioco un po’ anche con la Graph Search di Facebook, la ricerca avanzata di Twitter, Google Keyword Planner, Facebook Audience Insight e Google Trends, più una buona dose di social e web listening “fatti in casa”.
C’è differenza tra seguire un brand aziendale e personale?
Il metodo e i principi della comunicazione sono gli stessi, ma nella gestione quotidiana qualcosina ovviamente cambia. In generale, diciamo che quello che accomuna brand aziendali e personali è che ogni contenuto e parola spesa sul web è un tassello che ne definisce l’identità. Però, mentre tono di voce, immagine coordinata, tematiche, partnership e relazioni intraprese “bastano” a definire la brand personality di un’azienda, per i personaggi pubblici, essendo umani in carne d’ossa, l’identità si fa un concetto leggermente più sfaccettato. Entrano in gioco una serie di altre dimensioni: interessi personali e interessi legati al lavoro, vita privata, abitudini, trascorsi passati, ambizioni, relazioni con altri stakeholder, agenda degli appuntamenti, interviste e conferenze etc. Tutte cose che è bene conoscere. C’è dell’altro: da qualche anno, complici i social, abbiamo assistito a una sempre crescente umanizzazione dei brand. Questo rende necessari degli sforzi in più per rendere i personaggi pubblici “ancora più umani”, autentici e vicini alle persone. Motivo per il quale agli utenti piacciono tanto le foto (finto)spontanee e i selfie casalinghi che di tanto in tanto si vedono sui profili di qualche VIP o politico. Può sembrare un ritorno alla spontaneità, ma si sta solo assistendo a un nuovo cambiamento nella retorica delle immagini utilizzate da influencer e personaggi pubblici.
Hai mai dovuto gestire una crisi nella comunicazione di un brand?
Mi è capitato di gestire alcuni clienti particolarmente soggetti a piccole crisi quotidiane, ma per fortuna ancora nessuna giornata da eliminare dal calendario. Nel dubbio, il piano di crisis management è sempre a portata di mano!
Come si diventa digital strategist?
Non credo ci sia un’unica strada percorribile per diventare professionisti in un settore. Soprattutto oggi che i confini tra le varie professionalità si sono fatti più labili. Non ti so dire quale sia la ricetta segreta per fare questo lavoro, ma sicuramente a me è stato utile avere passione per il digitale, propensione all’aggiornamento costante e interessi multidisciplinari. Reputo la verticalità e la specializzazione ancora molto importanti, ma forse non bastano più. In professioni come la mia sono la mentalità fluida e la curiosità di andare fuori dal tracciato a fare la differenza.