E tu l’hai capita l’AI?

Valter Mellano, laureato in Fisica, ha lavorato oltre trent’anni nel settore aerospaziale, collaborando a diversi progetti di avionica con la società Leonardo. Si è occupato di ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale nelle diverse fasi della sua evoluzione e continua a seguire questa passione come consulente e docente.

Ha scritto “E tu l’hai capita l’AI”, edito da Apogeo nel 2025. Di seguito le risposte alle mie domande sul libro.

1) Ciao Valter, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?

Da quando ho terminato la carriera in azienda ho potuto dedicarmi a quella che è stata la mia passione fin dal suo inizio, l’IA. Continuo a studiare gli algoritmi, seguire convegni, sperimentare, dialogare con i chatbot e programmare facendomi assistere da loro, ma una attività che mi soddisfa particolarmente e che mi stimola ad un continuo aggiornamento è l’insegnamento. Tengo brevi corsi di IA presso l’Istituto Tecnico Superiore di Mobilità Sostenibile, Meccatronica e Aerospazio Piemonte.

2) Come hai strutturato il tuo “E tu l’hai capita l’AI?” E a chi si rivolge.

L’idea del libro è partita proprio dai miei corsi, anzi dalla prima cosa cui ho pensato preparando le lezioni: “L’IA sarà una compagna di lavoro di questi ragazzi”. Il mio scopo è stato quello di fargliela conoscere. Con i compagni di lavoro si stabilisce una relazione ed è questo il filo conduttore del libro: non solo presentare le caratteristiche dei sistemi di IA, ma confrontarli con le nostre capacità, perché in una relazione è importante analizzare entrambi i soggetti.

Ho notato che molta letteratura è volta a spiegare quanto questi strumenti siano in grado di fare oggi: questo approccio fa sì che l’IA assuma le sembianze di un mostro (o genio) nato dal nulla, mentre in realtà è il frutto di un lento e a volte impervio cammino di moltissimi scienziati ed è ripercorrendo questo cammino, la sua storia e la sua evoluzione, che si può comprendere  come  essa riesca a riprodurre capacità proprie della mente umana. Nel libro confronto  queste loro capacità con le nostre avendo sempre ben chiaro che il termine di paragone siamo noi.

La sfida è stata quella di spiegare gli algoritmi senza che fossero  necessarie conoscenze di programmazione e richiedendo poche basi di matematica. Una sfida non facile, ma motivata dal fatto che uno dei maggiori problemi dell’IA è quello di considerarla appannaggio di matematici esperti e programmatori, allargando quindi quella frattura tra ambito umanistico e scientifico che già ci affligge. Per questo motivo mi piacerebbe che il libro fosse letto anche da persone di cultura umanistica. 

La prima parte del libro presenta un excursus dei principali algoritmi che hanno portato alle grandi prestazioni odierne, “smontati” e spiegati in rapporto alle nostre capacità. Nei capitoli successivi  vengono affrontate le tematiche connesse al loro influsso epocale sulla nostra società, con particolare attenzione alle questioni etiche e all’impatto sul mondo del lavoro, ai rischi e ai benefici, presentati nel modo più neutro possibile, senza entusiasmi né allarmismi.

La lettura di questo libro è adatta a tutti coloro che hanno la curiosità di conoscere l’essenza dell’IA attraverso la sua evoluzione, quindi manager, insegnanti e anche i ragazzi che, già appassionati di computer, vogliano ampliare le basi per una conoscenza a tutto campo della materia mirata a proseguire i loro studi o per  una crescita professionale che vada oltre la scrittura di programmi.

3) Nel libro smonti l’IA per mostrarne il funzionamento “senza dare nulla per scontato”: qual è secondo te l’equivoco più grande che oggi circonda l’intelligenza artificiale?

“Senza dare nulla per scontato” è dovuto al fatto che l’IA è interdisciplinare, ha connessioni con materie che vanno dalla matematica alla psicologia, alla legge e alla filosofia ed è questa sua caratteristica a renderla difficilmente classificabile e a favorire gli equivoci. L’equivoco più grande a mio avviso è pensare che risolva facilmente e “magicamente” tutti i nostri problemi, dalle domande personali al funzionamento di un’azienda. È questo stesso equivoco che fa poi dire che l’IA è un mostro capace di tutto. L’IA è pur sempre uno strumento creato da noi, nutrito con la nostra conoscenza e che si “comporta” non con volontà propria ma secondo le regole che noi le abbiamo insegnato.

È realmente uno strumento potentissimo che può portare grandi progressi scientifici e sociali oppure minare addirittura le basi della nostra convivenza e l’ordine sociale, ma nonostante discussioni filosofiche e a volte fantascientifiche sulle sue capacità il problema più urgente è l’utilizzo che ne facciamo noi umani oggi.

4) Affronti l’argomento “allucinazioni” dell’IA generativa. A tuo avviso, queste allucinazioni sono solo un difetto tecnico da correggere o un sintomo di qualcosa di più profondo e culturale nel nostro rapporto con la tecnologia?

Le allucinazioni sono la punta di un iceberg e come tale nascondono una caratteristica di fondo dell’IA: anche se si presenta e viene addestrata a comportarsi come un umano gentile ed educato i suoi processi di ragionamento sono diversi dai nostri. La facilità di dialogo con noi proviene dal fatto che questi prodotti sono stati addestrati con una enorme mole di dati e da questo addestramento ricavano la capacità di trovare le migliori relazioni tra le parole (e anche tra immagini, ecc…) e quindi a usarle quasi sempre correttamente in qualunque tipo di discorso. La nostra capacità di correlare tutte le informazioni per fare dei discorsi è solo in parte simile a quella delle IA. Il “significato” dei termini che utilizziamo, specialmente di quelli più comuni, è per noi qualcosa di più profondo della semplice correlazione statistica eseguita dagli algoritmi. Noi confrontiamo continuamente i significati con quanto abbiamo sperimentato nella nostra vita, l’algoritmo esegue calcoli di probabilità e se il calcolo da un risultato che urta con quel “senso comune” che per noi è evidente, succede che, come accadeva con i primi chatbot, può proporre una pizza con guarnitura di colla, ovvero creare allucinazioni.

L’esempio della pizza è tanto eclatante quanto facilmente smascherabile, ma le allucinazioni sono pericolose perché questi algoritmi presentano comunque le risposte in modo formalmente ineccepibile, e quindi è possibile ottenere un documento ben strutturato in cui lo “svarione” sia nascosto in mezzo a informazioni del tutto corrette.

5) Nel parlare dell’impatto sul lavoro, c’è più da temere o da sperare? E soprattutto: quali categorie professionali dovrebbero davvero preoccuparsi oggi, non tra dieci anni?

I problemi principali sono due: la rapidità dell’evoluzione degli strumenti di IA e la difficoltà nel comprendere quanto saranno incisive nel mondo del lavoro presente e futuro. Detto questo si stanno facendo molte valutazioni: se le precedenti rivoluzioni industriali hanno prodotto tagli prima nelle mansioni più ripetitive, poi nella gestione e nella contabilità, ora l’IA promette di sveltire, se non sostituire, tutta una serie di attività di livello superiore; basti pensare alla produzione di materiale pubblicitario, al marketing, alla gestione del flusso documentale aziendale, alla scrittura di programmi per computer, solo per citare alcuni esempi.

Si ritiene che molte mansioni verranno ridotte o stravolte, ma che si creeranno molti posti di lavoro nei servizi proprio per supportare le necessità di organizzazione dei dati e di introduzione degli strumenti di IA. Questo implica una necessità di riqualificazione di personale esistente e di nuova istruzione  del personale per le nuove attività. L’asticella delle competenze viene alzata e quindi dovrà anche essere prevista una evoluzione nella formazione scolastica.

Una stima prevede inoltre un 10% di personale fuori dal mercato del lavoro. Questo è un problema sociale e politico. Gli ottimisti dell’IA prevedono che, come accadde per le altre rivoluzioni industriali, vi sarà un adeguamento che porterà a lavori meno onerosi, gli stessi sostengono che l’uomo del futuro lavorerà meno grazie all’IA. Come minimo a me piacerebbe che i maggiori profitti e l‘aumento di produttività permettessero di lavorare 36 ore a stipendio pieno e che venissero presi provvedimenti seri per il ricollocamento degli esclusi… rinunceranno le imprese agli extra profitti? È un bel problema economico e politico.

Quanto alle figure professionali in pericolo, deve essere chiaro che i prodotti di IA utilizzati in modo corretto devono assistere, non sostituire l’uomo, ma riducono certamente il carico di lavoro in molti ambiti, e questo significa riduzione del personale. Servono meno programmatori, meno addetti all’assistenza clienti, meno addetti alle ricerche di mercato, al marketing, alla produzione di documenti, solo per citare i primi ambiti in cui si registrano buone prestazioni dei prodotti di IA.

6) Hai scritto che l’IA non è un prodotto asettico, ma una “grande avventura del genio umano”: cosa diresti a chi la vede solo come una minaccia o una moda passeggera?

Ha troppe potenzialità per essere una moda passeggera, ma c’è comunque un effetto “moda”, esiste una tendenza a millantare prodigiosi progressi nei propri prodotti grazie a una non meglio definita IA, a far credere che sia la soluzione di tutti i problemi. Ma è proprio la capacità di relazione con l’uomo e di generazione di contenuti in continua evoluzione che promette progressi difficilmente immaginabili.  Esattamente come accade con tutti i frutti del progresso che ci danno in mano sempre maggior potere di creare o distruggere, insegnare o manipolare, questo ci riporta al fatto di considerarla una minaccia.

Il problema siamo sempre noi: se io vado in giro con una pistola costituisco una minaccia, se uso Internet per eseguire truffe pure, per questo ci sono leggi e controlli. Anche l’abuso nell’utilizzo degli smartphone è una minaccia per lo sviluppo cognitivo dei ragazzini. Siccome l’IA è uno strumento più potente aumenta anche la pericolosità di un utilizzo perverso e si dovranno studiare leggi e limitazioni.

Per esempio ho citato l’effetto negativo degli smartphone, ebbene, per moltissimi compiti in cui usiamo il nostro cervello l’IA ci può sostituire adeguatamente: se noi cediamo alla comodità di delegare all’IA questi compiti cosa ne sarà delle nostre capacità cognitive e di quelle delle prossime generazioni?

Ma non è neanche giusto demonizzarla, perché i progressi che sta già permettendo nella scienza, dalla medicina allo studio dei cambiamenti climatici, a tutti gli ambiti tecnologici è enorme.

La regola più importante è che soprattutto ognuno di noi deve continuare ad utilizzarla con spirito critico per farsi assistere, acquisire informazioni, imparare, in una parola per dominarla e non esserne dominati.

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