Google è contro i SEO?

La mia riflessione di oggi parte da un video di Marco Salvo, che saluto. Marco si occupa di SEO da diversi anni ed è sempre un piacere guardare i suoi contenuti, intanto perché fa musica hip hop (ed è fico!), poi anche perché fa riflessioni interessanti e attuali sul nostro mondo, quindi dagli un’occhiata.

Marco ci ricorda che 10 anni fa si comprava un dominio, magari a chiave esatta, ci si metteva sopra un sito e in due giorni eri online, in una settimana eri in prima pagina e in dieci giorni eri al primo posto, quindi era effettivamente possibile acquisire visibilità. Oggi invece fai un sito, lo metti là e ciao, nel senso che non succede più niente anche se fai tutte le cose giuste dal punto di vista SEO. Insomma, non è detto che un lavoro fatto bene verrà ripagato con la “giusta” visibilità.

È tutto complicato, tutto difficile. Tutti dicono che non funziona, ma tutto “funziona”. Si dice che ora Google faccia la guerra ai SEO e qualcuno insinua che altre piattaforme come TikTok e Instagram adesso entrino nel processo SEO. Ma c’entrano? E cosa c’entrano? Perché oggi è tutto più vago?

Vuoi sapere cosa ne penso?

Penso grossomodo quello che afferma Cyrus Shepard:

«Se c’è una cosa che abbiamo imparato dal processo antitrust di Google dello scorso anno e che si fa ampio utilizzo dei dati sui clic per il ranking, dunque la soddisfazione degli utenti è davvero il fattore numero 1 di posizionamento. Google dice di inseguire l’utente, non l’algoritmo. Non avevamo idea di quanto questo fosse vero.

Per semplificare eccessivamente: Google osserva ciò su cui gli utenti fanno clic e cercano, quindi utilizza tali dati per classificare più in alto i documenti più soddisfacenti.

Una cosa che ho notato lavorando come Quality Rater di Google ed esaminando centinaia di siti colpiti dai recenti aggiornamenti del core è semplicemente quanto molti siti Web siano indietro nel soddisfare le intenzioni degli utenti».

Da un lato penso sia corretta questa affermazione, ma non è tutto lì. Gli ultimi processi in cui è coinvolto Google fanno emergere in modo prepotente che Google ha ormai da anni la necessità di appoggiarsi sui segnali comportamentali per fare valutazioni sulla qualità del contenuto, perché altrimenti non sarebbe capace di dire se una pagina è davvero più rilevante di un’altra.

Per dire dunque la mia a Marco, 10 anni fa era ancora possibile che Google facesse valutazioni proprie nel merito della qualità di una pagina web, ma la sovrabbondanza di contenuti prodotta negli ultimi tempi e soprattutto nel 2023 con la diffusione di tecnologie (AI) che automatizzano i processi di redazione e pubblicazione, avrebbe costretto Google a fare valutazioni di tipo diverso, non già sui contenuti di per sé, quanto sui dati di interazione collezionati attraverso il browser Chrome.

Il posizionamento è politica!

Lo dico sempre e qui lo ribadisco anche al caro Marco Salvo. Una buona SEO è condizione necessaria, ma non più sufficiente come 10 anni fa. Google DEVE percepire che le persone cercano proprio il tuo sito, perché lo considerano autorevole rispetto ai temi che tratti. Produrre ottimi contenuti aiuta tantissimo, ma non serve a niente se a Google manca il segnale della riprova sociale. Ecco perché entrano in gioco anche canali come TikTok e Instagram e aggiungiamoci anche gli shorts su YouTube.

Questi social, sfruttati bene possono catalizzare l’attenzione di tanti utenti e portarli sul sito. Se riesci poi a trasferire contenuti che soddisfano le intenzioni di ricerca – come fa notare Shepard – allora il gioco è fatto. In questa logica i backlink importanti restano da un lato quelli che spostano realmente utenti mettendoli in condizione di rilasciare un segnale comportamentale e dall’altro quelli che funzionano a prescindere, che per capirci – e con buona pace dei link builder più ruspanti – non si possono comprare.

E poi ci sarebbe da dire che 10 anni fa esistevano molte meno pagine web rispetto a oggi. In effetti ce n’erano già tantissime allora, ma NIENTE rispetto a quello che va online adesso. Google è costretto a ripiegare sui brand site e a raccattare segnali sparsi che spesso vanno a premiare siti che di fatto non meritano visibilità, mentre tanti piccoli editori non trovano più spazio con i loro progetti nuovi.

Questi ultimi lamentano la mancanza di democrazia, io dico che semmai ce n’è troppa, nel senso che ci si affida al “popolo” per le valutazioni di merito e allo stesso tempo si permette chiunque di mettere online siti web su qualunque cosa… soprattutto agli spammer. È con questi che semmai dovremmo prendercela, non tanto con Google che avrà certamente le sue colpe, ma non può vedere e valutare TUTTO quello che c’è oggi online.

Si tratta di stringere alleanze, di essere “in piazza”, di fare politica e farsi vedere. E se si tratta di spostare l’attenzione su questi aspetti, allora i SEO devono trasformarsi nei nuovi spin doctors e imparare a guidare i propri clienti o i propri progetti nella nuova giungla digitale in cui ci troviamo.

E dunque è politica caro Marco. La SEO è politica.

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