Chiara Martino, Senior Conversational AI Professional, lavora alla creazione di chatbot e interfacce vocali. Scrittrice, mentore e speaker attiva nella condivisione sull’esperienza nelle AI conversazionali, è autrice di Intelligenza artificiale conversazionale, edito da Franco Angeli nel 2024. Ho approfittato della sua esperienza per sottoporle alcune domande sui tempi in cui viviamo e sul contenuto del libro.
Ciao Chiara, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?
Ciao! In questo periodo sto sperimentando le applicazioni dell’IA generativa alle interfacce conversazionali, utilizzando quindi i Large Language Model. Mi interessano soprattutto le soluzioni ibride, che integrino questa tecnologia molto in hype alle metodologie “tradizionali”, ormai ben consolidate e di provata efficacia.
Nel frattempo, continuo a lavorare con le tecnologie tradizionali e, in particolare, mi occupo di configurare la parte linguistica dell’assistente vocale di una grande azienda del mondo utility: quando un utente chiama al numero dell’assistenza, invece di sentirsi dire “digita 1, 2, 3…” si sente dire “dimmi brevemente cosa posso fare per te”, può esprimere direttamente la propria richiesta e, se è tra quelle previste, essere compreso dal sistema.
Come hai strutturato “Intelligenza artificiale conversazionale” e a chi si rivolge?
Il libro è pensato come guida chiara e completa, che accompagna anche chi non sa nulla di chatbot e assistenti vocali a comprenderli a livello professionale.
È strutturato in due parti: la prima per comprendere le basi dell’IA conversazionale e la secondo per scoprire chi e come lavora in questo settore.
Nella prima parte, quindi, spiego cosa vuol dire “Intelligenza artificiale conversazionale”, cosa vuol dire “conversazione” in questo contesto e quali sfide linguistiche si affrontano quando si creano interfacce che dialogano con le persone, faccio chiarezza sui tipi di interfacce conversazionali, sui loro utilizzi e su tutti i termini che orbitano intorno a esse e descrivo il funzionamento dei moduli che le compongono.
Nella seconda parte, spiego come dovrebbe essere strutturato un progetto conversazionale tipo, da quali fasi dovrebbe essere composto e soprattutto quali competenze e figure professionali servono per creare prodotti di successo. Quindi esamino nel dettaglio queste competenze: Conversation Design, Knowledge Engineering, Prompt Engineering e Conversational Data Analysis.
Il libro si rivolge a un pubblico molto ampio: principalmente a chi desidera entrare nel settore dell’IA conversazionale, ma anche a chi desidera semplicemente capire come funzionano i dispositivi con cui dialoga quotidianamente, a chi già lavora nel settore e vuole averne un quadro completo e rimanere aggiornato/a sulle novità, ai manager che vogliono investire in queste soluzioni e che vogliono strutturare un processo end-to-end efficace.
Qual è il vero valore che le aziende non devono lasciarsi sfuggire in questo momento storico?
È difficile generalizzare, ma direi che il valore si trova soprattutto sperimentando. Più si sperimenta, più è facile trovare modi in cui un’automazione di questo tipo può davvero portare valore, nei processi interni o nelle relazioni con i clienti.
Per le aziende, infatti, un’interfaccia conversazionale può essere un ulteriore touchpoint, efficiente e innovativo, che arricchisce la customer journey esistente e fa leva sul dialogo, la modalità d’interazione più spontanea per le persone.
Certo, non tutte le interfacce conversazionali sono uguali: quelle che portano un maggiore valore non sono necessariamente quelle che utilizzano le tecnologie più all’avanguardia, ma sono quelle che vengono progettate con maggior attenzione ai reali bisogni e comportamenti degli utenti e che rispecchiano davvero il brand che rappresentano: per questo motivo, in un progetto è essenziale dedicare le giuste risorse alla fase di design, prima di passare a quella di implementazione.
Come si misura se un chatbot sta facendo bene il suo lavoro?
Per prima cosa, le misurazioni dovrebbero coprire tre ambiti: le performance tecnologiche, la soddisfazione del business e il comportamento degli utenti.
Se a livello tecnico va alla grande, ma non raggiunge gli obiettivi dell’azienda che lo ha commissionato, non si può parlare di vero successo. Così come se raggiunge gli obiettivi dell’azienda, ma gli utenti non lo trovano utile e risolutivo e quindi non lo utilizzano.
Ciascuna di queste aree ha i propri parametri di valutazione.
Quelli delle performance tecnologiche dipendono in primis dal tipo di prodotto che si ha davanti: se è vocale, bisognerà misurare (anche) la capacità di trascrivere correttamente ciò che dice l’utente, se usa l’NLU tradizionale, basato sull’associazione della richiesta dell’utente a uno degli argomenti mappati, bisognerà misurare la qualità di questa associazione e così via.
Per quanto riguarda i KPI relativi alla soddisfazione del business, dipende proprio dagli obiettivi con cui è stato creato il bot: ridurre i costi dell’assistenza clienti, fare lead generation, vendere prodotti, far fare prenotazioni, ecc.
Infine, il comportamento degli utenti può essere monitorato in vari modi: si può guardare se, quando e quanto interagiscono, cosa chiedono, se percorrono i dialoghi progettati o lasciano il dialogo a metà,… e poi ovviamente si può chiedere loro un feedback esplicito, in cui possano valutare l’esperienza esprimendo la propria opinione in modo diretto.
Quali sono le principali opportunità per le aziende che ne fanno uso?
Le principali opportunità sono quella di rinnovare i propri processi e quella di iniziare ad assumere o formare al proprio interno professionisti con competenze nuove, per essere pronti a gestire un cambiamento che è già in atto, ma che è lecito pensare sarà sempre più dirompente.
Poi chatbot e voicebot possono essere usati in tanti ambiti: possono dare informazioni, possono compiere operazioni semplici come accendere una lampadina e complesse come rateizzare una bolletta, possono proporre prodotti e servizi mostrandoli per esempio in chat, possono raccogliere i contatti si persone interessate a quei prodotti o servizi, possono guidare nella risoluzione di problemi tramite percorsi di troubleshooting, ma possono anche intrattenere, far compagnia, far giocare e perfino insegnare.
Insomma, le opportunità vanno ben oltre il semplice customer service, che è l’ambito in cui sono più usati, ma naturalmente dipendono dalla singola azienda, dai suoi obiettivi e dal budget che ha a disposizione: non si può parlare in generale, perché ogni caso è unico e ha bisogno di un’analisi dedicata.
In ultimo, ci lasci qualche link per restare aggiornati sull’argomento?
Certo!
Intanto io scrivo articoli sull’argomento sulla piattaforma Medium, li trovate qui.
E potete seguire la community di cui sono co-fondatrice, Women in Voice Italy: postiamo regolarmente contenuti su Conversational AI e Generative AI su LinkedIn e trovate le registrazioni di eventi e interviste passate su YouTube.
Per quanto riguarda chi seguire su LinkedIn, inoltre, ci sono tanti professionisti che approfondiscono questi argomenti: per citarne alcuni tra gli italiani, Mariella Borghi, Veronica del Priore, Valentina Adami, Alessio Pomaro… e sicuramente ho dimenticato qualcuno!
Infine, consiglio i podcast “Algoritmi” di Datapizza e “AI: La nuova era” di Samuel Algherini: entrambi parlano di IA in generale e non solo di IA Conversazionale.