Tempo fa ero molto felice perché avevo trovato un cliente che mi appassionava, con un progetto e-commerce in 5 lingue. Lui era (ed è) una gran brava persona, purtroppo con una brutta fissazione su certi aspetti della SEO pure importanti, ma che per me erano secondari rispetto ai problemi da risolvere sul sito.
Seguii il suo progetto per circa due mesi, senza riuscire a farlo riprendere da un brutto drop occorso nel mese di ottobre a seguito di un cambio tema e soprattutto dopo uno degli update di Google più sfidanti di sempre. Se avessi avuto qualche mese in più sarei probabilmente riuscito a venirne a capo, ma l’incarico mi fu tolto adducendo come motivazione che non avevo tenuto adeguatamente sotto controllo alcuni aspetti delle sitemap e avevo tralasciato i link rotti.
Vero, gli errori si commettono e io sbaglio tutti i giorni, ma quello che voglio dirti oggi è che i drop di posizionamento post update non sempre si risolvono mettendo a posto le checklist SEO, tant’è che quel sito, che nel frattempo sarà passato sotto le mani di altri professionisti sicuramente più preparati del sottoscritto, negli ultimi 4 mesi ha continuato a peggiorare, con buona pace dei link rotti e dei problemi sulle sitemap che ora saranno certamente a posto.
Ma se il problema non erano i link rotti, qual era?
Perché non si capisce mai che lavoro fanno i SEO?
Qualche sera fa ero con un cliente a bere “alcune” birre. In effetti diverse birre. Nella franchezza festosa del momento ci trovammo a parlare del fatto che tutto sommato i contorni del mestiere della SEO sono piuttosto sfumati, perché ci possono essere davvero tanti motivi per il successo o l’insuccesso di un progetto web, soprattutto negli ultimi 16 mesi. Alcune volte sono facili da cogliere, ma altre volte in presenza di problemi seri si rischia di brancolare nel buio per un tempo anche lungo prima di capirci qualcosa. La SEO è un mestiere frustrante, perché l’essenziale è spesso invisibile agli occhi, e tra tutti i problemi che emergono facendo una scansione con Screaming Frog, spesso ci tocca anche chiederci “cosa c’è qui che io non vedo”.
Ora, la cosa che mi conforta è che da sobrio direi le stesse cose, quindi in occasione di quella birra non credo di essermi esposto più di come farei di solito, ma quell’altro cliente intanto lo persi, perché mentre stavo lì a chiedermi cosa e dove guardare, tra competitors, struttura scansionabile, testi sul sito e performance, il mio tempo era scaduto o almeno così era stato deciso.
Certo, magari quel cliente in particolare avrebbe più opportunamente dovuto fare il suo mestiere e intanto giocarsela alla vecchia, riaprendo contatti, facendo offerte, inviando newsletter, invece stava lì di notte a far correre screaming frog e prendendo decisioni al posto mio su cosa fare per riguadagnare visibilità. Va bene, lo capisco, anch’io sono una persona ansiosa. Non così tanto, ma un po’ sì.
E quindi i 404, vanno gestiti?
Ma certo che vanno gestiti, il titolo è chiaramente una provocazione. A me piacerebbe davvero che la SEO fosse “facile” come riparare un’automobile, ma purtroppo non è sempre così. Tipo, si rompe un pezzo, lo sostituisci e la macchina va come prima. E però non funziona in questo modo, perché spesso dobbiamo inventarci la soluzione guardando tra mille cose. Il SEO più bravo non è solo quello che conosce meglio la materia, non è quello che appunto tiene sempre i link rotti sotto controllo, ma quello che avendone viste abbastanza, impiegherà meno tempo a capire DOVE sta il problema reale tra sito, server, update del motore di ricerca, mercato di riferimento, “persone”, spam, fino all’approccio del cliente al proprio business.
Stavolta ho fallito, non sono riuscito a far bene il mio lavoro nel tempo che ho avuto a disposizione, ma ho fatto esperienza. Quella sì.
Sempre serve.