Se lavori per una grossa società

Quando si dice che il contesto plasma persone e relazioni, in realtà si sta dicendo ancora poco. Il contesto lavorativo in cui ci troviamo inseriti può letteralmente annientarci come persone. La storia che sto per raccontarti può sembrare incredibile finché non verifichi con i tuoi occhi il grado di straniamento a cui un essere umano può arrivare quando si ritrova inserito nel contesto sbagliato. È un racconto crudo che spero ti faccia riflettere, soprattutto se ti trovi in una situazione simile o se conosci qualcuno che la vive nel quotidiano.

lavori stranianti

Ti capita di sentirti così sul posto di lavoro?


 

Oggi non parliamo di chi ha difficoltà a mettere il piatto in tavola, ma dell’opulenta Milano, sede di importanti gruppi editoriali, aziende multinazionali, fanalino di testa dell’economia italiana. C’è stato un tempo in cui credevo che il settore privato fosse sostanzialmente più affidabile di quello pubblico, perché in assenza di fondi statali, le aziende private devono ottimizzare risorse e massimizzare sforzi. L’uomo della strada può pensare che il settore pubblico sia pieno di persone che prendono lo stipendio senza fare niente, mentre l’impresa privata organizzi il carico di lavoro sulle risorse umane con accortezza e parsimonia. In realtà la questione non riguarda la dicotomia pubblico vs privato, ma è strettamente legata alle dimensioni grande vs piccolo.

Sia il settore pubblico che quello privato hanno interesse ad aumentare la produttività o quantomeno ad ottimizzare i processi produttivi, ma tale interesse trova più facilmente un riscontro positivo quando le dimensioni del “parco risorse umane” sono contenute e compatibili con gli organi deputati alla loro organizzazione e gestione. In caso contrario, quando il numero delle persone cresce, le sedi si dislocano, i dipartimenti si allargano e gli interessi in gioco aumentano, in assenza di un sistema di controllo veramente efficiente, si creeranno inevitabilmente buchi di produttività. Ed è di questi buchi che oggi vorrei parlarti.

 

I buchi di produttività

Azienda multinazionale con sede a Milano. Il team di comunicazione interno è composto da persone che prendono lo stipendio ogni mese. Queste persone trascorrono il loro tempo organizzando e talvolta partecipando a riunioni in cui nascono litigi furiosi su questioni del tutto irrilevanti rispetto al modello di business aziendale. Un’esistenza sospesa, in cui tutti i coinvolti hanno la consapevolezza di non star producendo niente, eppure trascorrono l’intera giornata in quel luogo, vedendo crescere ansie e frustrazioni. Un caro amico che si trova a vivere questa situazione da interno, un tempo lavorava come freelance e aveva una mentalità completamente diversa, ma una volta inserito in quel contesto si è come trasformato in un automa, stritolato dalla coperta calda di stipendio, ferie e malattie.

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L’azienda fattura decine di milioni vendendo 10 prodotti, intanto tra quelle stanze si ragiona di altre 200 referenze assolutamente inutili, gestite seguendo politiche di comunicazione prive di qualunque logica, organizzando tutto in pagine web che definire approssimative è un eufemismo. 20 impiegati per gestire “male” un processo di comunicazione che richiederebbe al massimo 5 risorse, e non sapendolo fare esternalizzano processi ad agenzie esterne, verso cui comunicano in modo ancora più confuso, rendendo di fatto inutile anche il loro supporto. Sì, è la rovina dell’organizzazione aziendale.

 

Il giornalismo di livello

Parallelamente, all’interno di uno dei più grossi gruppi editoriali d’Italia, la cui pubblicazione di testa è uno storico quotidiano nazionale, abbiamo schiere di giornalisti professionisti “tesserati”, che lavorano per le varie testate edite dal gruppo. Il lavoro di questi professionisti è ripartito per magazine, le cui risorse dedicate sono spesso gestite in modi singolari: ad esempio un magazine online facente riferimento al gruppo, pubblica 5 articoli alla settimana e a quei 5 articoli lavorano 8 giornalisti stipendiati. Penserai che parliamo di articoli tecnici o comunque “difficili”, invece sono gli stessi che puoi comprare per 20 euro dall’ultimo dei “coprywater”. Questi coltissimi giornalisti sono i veri intoccabili del web. Stanno lì a far nulla lanciando strali su facebook all’indirizzo di entità non meglio specificate. Per fortuna almeno in questi casi non siamo noi a pagare per loro, ma un enclave di imprenditori e industriali che nemmeno sanno della loro esistenza.

 

All’improvviso, tutti a casa

Gli industriali di cui sopra si accorgono dei lavoratori “ridondanti” quando all’improvviso le loro granitiche creature si ritrovano con buchi di fatturato enormi e costi interni ancor più insostenibili. Al verificarsi di queste condizioni scattano i piani di ristrutturazione aziendale e centinaia di impiegati del tipo descritto sopra, vengono liquidati e mandati a casa.

Apriti cielo. In quel momento i lavoratori interni scoprono la lotta di classe e innalzando il pugno sinistro verso il cielo “PROTESTANO” contro chi ha deciso l’ingiusto licenziamento. Ma cosa hai da protestare se sei il primo ad avere consapevolezza di esser stato pagato e tutelato per anni senza aver prodotto un euro di profitto? Queste persone dovrebbero ringraziare  la sorte che ridona loro la libertà dal giogo disumanizzante del lavoro inutilmente pagato e riprendersi la loro vita.

Se ti trovi o ti troverai in una situazione simile, sono (o sarò) felice per te.

One Response

  1. Andrea F. 22/11/2017

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