Analizziamo insieme lo stato della domanda e dell’offerta di lavoro nel digital marketing, osservando in particolare i “vizi” presenti nei più classici annunci di lavoro e quelli che invece sono propri delle persone che a tali annunci rispondono.
Migliora la vita delle persone
Prima di iniziare occorre premettere che questo è un post di segno negativo che non prende in considerazione le pur numerose situazioni in cui la domanda e l’offerta concorrono virtuosamente a collocare le buone risorse nelle buone aziende. Detto ciò, esistono casi (e nemmeno pochissimi) in cui possiamo e dobbiamo puntare il dito sul pressappochismo, se vuoi sull’ansia da realizzazione che rende miope la domanda e presbite l’offerta.
La riflessione nasce da due post che ho trovato su facebook e che sembrano proprio le due facce della stessa medaglia. Il primo è di Gabriele Granato che scrive:
«Abbiamo pubblicato un’offerta di lavoro (su varie piattaforme specializzate a pagamento) seria, dettagliata, chiara: in poche ore sono arrivati Cv da un addetto vendite Fastweb, un tappezziere, tre social media marketer e un saldatore (certificato). E tante persone purtroppo sotto qualificate rispetto alle esigenze. E in più due aziende “specializzate in recruiting” sulle quali andrebbe aperto un ragionamento a parte. Profili da prendere in considerazione per approfondimenti forse 1 su 10. Ma forse, eh!
Tendenzialmente un Paese con un tasso di disoccupazione come il nostro non può permettersi una distanza così grande tra domanda e offerta di lavoro come accade qui da noi.
La scuola non riesce a dialogare con le imprese, l’università non forma adeguatamente, le competenze sono scarse e il costo del lavoro è spropositato. La domanda non è perché siamo fanalino di coda in Europa, ma come facciamo a non collassare del tutto? Cosa ci tiene ancora in piedi?».
Abbiamo in sostanza un post che denuncia una risposta inadeguata alla domanda. Il sottotesto – neanche tanto implicito – è che la disoccupazione e le difficoltà di inserimento derivano dalla mancanza di specializzazione, che a sua volta proviene dall’inadeguatezza del sistema scolastico e accademico, appunto incapace di dialogare con le imprese per innestare nei piani di studio le materie opportune o per avviare percorsi di formazione al lavoro. Un post scuro che si conclude con un vero e proprio sfogo in cui Gabriele arriva a chiedersi come facciamo a non collassare del tutto… e non lo so.
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Il secondo post che vorrei condividervi è invece di Francesco Agostinis, che scrive:
«Ho passato per curiosità 10 minuti su Linkedin a leggere le proposte di lavoro di agenzie marketing famose per Advertiser/Advertising specialist/Media Buyer. Ne ho lette una decina, alcune decisamente creative. Sono felicissimo. Finché continueranno a non capire che una sola persona non può saper fare tutto bene (eh sì, fare Facebook Ads, Google ads, Amazon Ads, Pinterest ads, cicciopalla Ads tutte assieme non è possibile, almeno a livelli decenti) e che le attrazioni in ufficio in stile Google e il team simpatico non pagano la cena, in Loop avremo solo vantaggi, sia lato collaboratori che clienti.
Che bella l’Italia, il luogo dove tutti si lamentano che non ci sono giovani che han voglia di fare ma nessuno capisce perché questi non vanno a lavorare da loro».
Qui all’esatto opposto, abbiamo un professionista che lamenta l’inopportunità di annunci per figure troppo generiche, pure in un ambito già settoriale come le sponsorizzazioni via web. La chiosa qui potrebbe essere una risposta al post di Gabriele. In definitiva secondo il primo i giovani non si specializzano, mentre per il secondo sono le aziende a non cercare figure sufficientemente specializzate.
Ma il problema è la domanda o l’offerta?
Se dobbiamo fare delle due l’una, chiedersi se il nostro problema sia nella domanda o nell’offerta è un po’ come domandarsi se sia nato prima l’uovo o la gallina. Certamente, volendo trovare un tratto comune alle due parti, possiamo dire che entrambe provengono dallo stesso sistema scolastico che istruisce invece di educare, che mette dentro invece di tirare fuori, ma qui non voglio lanciarvi un’altra filippica sulla scuola perché sono stanco di sparare sulla croce rossa.
Più semplicemente ci sono i casi ed è bene riportarli per rifletterci sopra. Le aziende che funzionano meglio sono quelle che sanno andare a cercare “l’uomo” come faceva Diogene, che con la lanterna vagabondava scrutando gli sguardi per carpire l’interiorità al di là delle apparenze, anche se vuoi al di là della preparazione. Gli individui sono risorse che devono sviluppare il potenziale di un’azienda, non bestie da soma su cui caricare un giogo, non animali da sfruttare per alzare il fatturato.
E dall’altra parte, se le aziende cercano di tirare dentro materiale umano di qualunque natura purché serva allo scopo di alzare il fatturato, è normale che si pensi solo alla RAL, alle ferie e a come taroccare il curriculum vitae. Abbiamo ragionato per decenni solo su come aumentare il profitto, senza concentrarci su cose importanti come il valore della risorsa in quanto tale.
Vale la pena riflettere su questi argomenti. Tu che ne pensi?
A mio modesto parere, manca una cultura digitale diffusa che permetta alla domanda e all’offerta di parlare un linguaggio comune. Fin quando analfabetismo funzionale e analfabetismo digitale saranno le basi del confronto, sarà difficile far incontrare i due mondi.