Ti sarà capitato certamente di sentir parlare dei ranking factors, spesso in modo confuso, giacché sarebbe impossibile inquadrare in modo preciso la relazione ideale tra questi, tale da determinare una “ricetta” sempre valida per fare posizionamento nei motori di ricerca.
Un sito web deve essere veloce, ma quanto veloce? Quanto conta la qualità dei contenuti, e i backlink? E l’autorità del sito web? E come si ricombinano questi fattori per ciascun segmento di ricerca diverso?
Oggi invece di rispondere a queste domande (ché tanto è impossibile) farò una cosa più semplice, raccontandovi tre storie indipendenti, tutte legate a fattori di ranking decisamente attuali. Userò l’esperienza per rispondere alla domanda delle domande: cosa funziona davvero per posizionare un sito web nel 2022?
Storia 1: notifiche push
Un importante blog che seguo deve un quarto del proprio traffico organico alle notifiche push. Parlo di un blog che riceve circa due milioni e mezzo di visite al mese, molte delle quali sono venute a mancare per diversi giorni principalmente per due motivi concomitanti:
- un malfunzionamento delle notifiche push
- una leggera dilazione nelle pubblicazioni
Lo spegnimento delle notifiche ha influito negativamente su Discover, creando un vero e proprio buco, ma il grosso danno sembra essere stato causato dalla mancanza temporanea di segnali di interesse verso il sito web. In mancanza del traffico innescato dalle notifiche, Google ha immediatamente abbassato la visibilità delle pagine evergreen, come se dipendesse tutto da lì.
Le notifiche push sono dunque un potente attivatore del posizionamento, ovviamente a patto di avere già un pubblico che quando riceve le notifiche ci clicca sopra e apre il sito. Beh…
Storia 2: i nomi posizionati a caso
Questa storia è ancora più strana. Seguo un’azienda leader di settore nel suo campo, che presenzia il web con un sito e-commerce. All’interno del sito ci sono categorie di ordine trasversale che non sono destinate al posizionamento, perché fanno riferimento a “collezioni” di prodotti tutti dello stesso tipo, che per essere distinti hanno un nome proprio di persona, quindi ad esempio c’è una categoria che si chiama “Maria”, una che sia chiama “Emma”, una che sia chiama “Giada” e così via. Ultimamente questo mio cliente ha lanciato campagne sui propri canali email e social, inserendo link a queste pagine e producendo una grossa quantità di click su di esse. Come risultato, Google ha preso a posizionare alcune di queste pagine archivio – il cui tag title era solo il nome proprio – per la chiave secca, ad esempio “Giada”.
Ora va da sé che al netto del tag title, la pagina non c’entrasse niente con il nome “Giada”, ma il traffico prodotto era stato sufficiente a far posizionare la pagina proprio per quel termine. Sì, Google non ha capito niente.
Storia 3: il blog Seogarden allo sfascio
L’ultima delle tre storie riguarda il mio blog, che per quanta “magia SEO” io possa infondervi, perde inesorabilmente posizioni e traffico da tempo. Parliamo di un blog che anni fa era posizionatissimo e che ha contribuito alla divulgazione della disciplina, finché non ho praticamente smesso di pubblicarci sopra i miei articoli, riducendo la frequenza a due o tre pubblicazioni l’anno, senza praticamente aggiornare mai gli articoli. A queste condizioni la visibilità si spegne lentamente e non c’è riflessione sui core web vitals o sulla struttura delle categorie che tenga.
Se hai un blog e lo tieni là senza farci niente, perdere tutt ala visibilità sarà solo questione di tempo.
Conclusioni
C’è un minimo comune denominatore in queste tre storie che ti ho appena raccontato: l’interesse degli utenti. È questo che Google valuta più e meglio di prima. Ora è probabile che un brand già affermato attiri visite, ma non è il brand a determinare di per sé il posizionamento, bensì le visite che il brand riesce a procurare, in tutti i modi possibili.
Nel momento in cui le risorse di scansione di Google non riescono più a star dietro a tutte le pagine web del mondo, la vera sicurezza di non sbagliare una valutazione è data dall’utilizzo del feedback degli utenti. Di qui possiamo senz’altro concludere che la strategia di posizionamento più efficace è e sarà sempre di più spesso “portare traffico a interagire sul sito web”. Portarcelo in qualunque modo. Google non è mai stato sensibile come adesso a questo segnale, quindi è il momento di fare marketing e studiare iniziative più o meno reiterabili per spingere le persone a visitare le vostre pagine internet sistematicamente.
Insomma, non fate come me. Fate bene.
🙂
È una vecchia diatriba che si ripropone, in questo contesto, conta anche portare traffico pagandolo? Mi riferisco a ggoogle ads naturalmente…