Oggi vorrei parlare di un contraltare doloroso, ben noto a tante persone che ottengono risultati brillanti nella sfera professionale. C’è l’ansia da prestazione che riguarda il sesso, l’ansia da palcoscenico che ha a che vedere con il parlare in pubblico e poi c’è l’ansia che ho definito “da professionismo digital”, che almeno per me è un caso interessantissimo.
L’ansia da professionismo si porta dietro un sacco di problemi per lo più inesistenti, che pesano sulla sfera della percezione di aspettative via via crescenti. Una vitaccia, di cui secondo me è arrivato il momento di parlare con calma, fermandoci un momento.
Sintomi dell’ansia da professionismo
È una bestia subdola, perché attacca a disturbarti quando va tutto bene. Tu stai lì a contare soldi e soddisfazioni, quando all’improvviso il respiro diventa corto e partono le tachicardie. Ma perché? La tua vita non ha niente di storto, va tutto a gonfie vele, eppure al netto di problemi di salute reali che hai sicuramente già escluso facendo analisi di ogni tipo, ti ritrovi con l’affanno cronico e con quella tossetta nervosa di cui non riesci proprio a liberarti.
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Un altro sintomo frequente nei professionisti sono le eruzioni cutanee. Su facebook non si vede quasi mai (e in pochi te le mostreranno), ma molti tra i professionisti più conosciuti presentano dermatiti o comunque desquamazioni in parti del corpo più o meno visibili. Io me ne sono accorto frequentando eventi e conoscendo personalmente molti “big” del digital di cui per privacy non farò i nomi. Tutte persone apparentemente calme, solari, sorridenti, belle come il sole, pantaloni di vigogna etc.
Cause dell’ansia da professionismo digitale
Non sono un medico, ma posso assicurarti che una laurea in medicina serve a poco in questi casi. Se a prima vista un professionista affetto da disturbi d’ansia non riesce a capire il motivo di certi risentimenti fisici, uno sguardo un minimo più approfondito sul contesto riuscirà a chiarire tutto.
Personalmente mi sono fatto l’idea che in un sistema mondo che va sostanzialmente a rotoli, in cui i bambini nascono con 36.000 euro a testa di debito pubblico verso un organismo privato non meglio specificato, l’idea di aver agguantato il benessere o anche solo la soddisfazione di una vita molto più comoda di quella che fanno tanti altri può essere destabilizzante nella misura in cui ti sei sostanzialmente inventato un mestiere.
Pensaci un momento. Se hai 40 anni e sei un professionista del web, fai un mestiere che non puoi aver imparato a scuola, semplicemente perché all’epoca non esisteva. I tuoi compagni di classe del liceo, che oggi lavorano in aziende multinazionali con ruoli oscuri ai più, oppure in banca, o come medici o avvocati, a un certo punto sono entrati in un percorso di vita che esisteva da generazioni – se non da secoli – solido, approvato da chi ti ha preceduto, preesistente (come tutte le cose buone) e per questo perseguibile nella misura in cui siamo chiamati a perpetrare un ordine di cose meglio noto come “civiltà occidentale”.
Quindi nel tuo caso non conta che le cose vadano più o meno bene. Una sintomatologia simile a quella che ho descritto, può dipendere dal fatto che a livello profondo percepisci una separazione con ciò che è socialmente perseguibile. Semplicemente, stai male perché sei un deviante. Da piccolo tua madre ti diceva di studiare perché avresti fatto il giornalista, invece oggi ti occupi di ripulire la reputazione online e curare brand aziendali attraverso i social network. No, non è un mestiere come un altro. Quando pure parlano della tua attività in TV, nel servizio c’è sempre quell’incredula diffidenza di chi punta il dito e dice “ma guarda un po’ che trovata bislacca“. Il tuo fatturato annuo è irrilevante rispetto alla diffidenza che la nostra civiltà attribuisce a tale indefinita e precaria modalità di pagare affitto e bollette. Hai la percezione di essere da solo nel deserto, insieme a pochi altri, lontano da casa.
Come risolvere l’ansia da professionismo digital
Ma benedetto deserto! Per me non c’è dubbio sul fatto che dobbiamo affrancarci il più possibile da quelle figure considerate solide, che affiorano dal nostro passato. Da un ventennio ormai ci troviamo in una fase di transizione che vede la nostra civiltà cambiare pelle. Razionalmente oggi l’ultima cosa che consiglierei ad un ventenne è iscriversi a medicina o giurisprudenza, tuttavia le professioni mediche e quelle legate al diritto sono tra le più socialmente apprezzate. Ma questo apprezzamento somiglia sempre di più all’ultimo disperato tentativo di preservare un mondo già morto, imbalsamato nelle istituzioni e fermo da decenni.
Se dunque ti senti tutto stonato è perché la civiltà – proprio intesa come organismo vivente – non sopporta il fatto che le cose ti possano andar bene nonostante tu ti muova in zone interstiziali dell’economia. È questo che devi capire.
Ti muovi semplicemente ad un’altra velocità, quella giusta.