Una piccola impresa, di Fulvio Romanin

Fulvio Romanin è il titolare di Ensoul, studio di sviluppo web su Shopify e WordPress. Il suo mestiere non è scrivere libri, ma ogni tanto succede: parla di lavorare e fare impresa dal punto di vista di una persona comune, non certo di un capitano d’industria. Ha pubblicato “Una piccola impresa”, per Apogeo Editore nel giugno 2025. Di seguito le risposte alle mie domande.

1) Ciao Fulvio, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?

Diventare il re indiscusso e globale della nostra galassia. Sto lavorandoci duramente ma ci vorrà ancora un po’ di tempo. Tipo sedici miliardi di anni, ma sono un tipetto caparbio.

Battute sciocche a parte, una larga parte del mio tempo è dedicata a sviluppare e a far crescere Ensoul, l’azienda di sviluppo web che ho fondato insieme al mio socio Giulio Pecorella. È un lavoro dove scopro nuove cose ogni giorno, e il mio lavoro principale è cercare di migliorarci.
Quando diventi “il capo di un’azienda” (messo tra virgolette, perché diventare il “capo” per me è una conseguenza e un obbligo più che un diritto e un vanto) scopri che essere il capo è un lavoro molto diverso e più complesso, e ti costringe a spalancare la tua visione su nuove problematiche e nuovi temi ogni giorno. Il caro Enrico Marchetto mi ha definito sagacemente un “saggista di formazione” (un po’ come i vecchi romanzi di formazione) e un (piacevole) effetto collaterale del mio lavoro è stata la nascita de “L’IVA funesta” prima e “Una piccola impresa” ora. Due saggi che ho pubblicato per UTET il primo, e per Apogeo Editore il secondo. Mi piace scrivere: leggenda corre che lo sappia fare discretamente bene, e l’IVA funesta ha venduto piuttosto bene. Ora tocca ad “una piccola impresa” ripetere l’esito.

2) Come hai strutturato il tuo “Una piccola impresa” e a chi si rivolge?

L’ho strutturato come un piccolo compendio di tutta una serie di competenze necessarie per far partire un’azienda – SRL o qualunque altra forma societaria possa essere – per chi non ha un timone ed una stella polare da seguire. In Italia ci sono quattro milioni di partite IVA, a quanto pare. E mi rivolgo a costoro, perché il forfettario è carino ma non dura per sempre, e magari i tuoi sogni crescono e non hai voglia di fare tutto tu. È una mappa che prevede, certo, anche qualche noioso elenco puntato ma ci sono molti ragionamenti più sull’etica, sull’empatia, sul denaro e sulla trattativa. È un libro bello denso, vi avviso. 🙂

3) Dici che molte imprese nascono “senza una mappa precisa”. Secondo te, questa inconsapevolezza iniziale è un difetto o un vantaggio competitivo?

La serendipità esiste: il Viagra nasce come cura per l’ipertensione e lo sappiamo già come è andata a finire.
Ma il Viagra è figlio di una casa farmaceutica, e le case farmaceutiche in genere hanno bancali di soldi con i quali fare esperimenti: anche a loro gli sbagli costano, ma a chi sia all’inizio di una attività e non abbia PAPINO alle spalle costano in proporzione molto molto di più. Mantenere un certo grado di flessibilità è indispensabile: i conti della serva parlano chiaro e alla fine della giornata già dopo la fine del primo anno (meglio, del secondo) hai un’idea molto chiara di cosa non stia funzionando.
Indizio: partite facendo molto poco e poi allargate. Come i professionisti, le aziende “faccio tutto” in genere vengono valutate molto poco e sono invendibili.

4) Nel passaggio da professionista a imprenditore, qual è secondo te l’errore più ricorrente e sottovalutato che si commette nei primi due anni?

È un’ottima domanda e la risposta precisa varia molto da professione a professione. Ho cercato di essere quanto più “ecumenico” possibile nella scrittura del libro e di prendere un po’ tutte le professioni, ma un po’ si vede che tutto sommato io lavoro in una azienda di servizi.
Forse l’errore più comune, tuttavia, è di non avere preparato a monte delle metriche di successo (“sto guadagnando davvero”) e di tenere poca attenzione alla parte economica e più all’arte. Ohimè, essere spietati sulla contabilità è impegnativo, e a un certo punto non ci si può più girare attorno.
Servono dei KPI (Key performance indicators) ragionevoli ma allo stesso tempo concreti, ed avere preparato prima bene il terreno a tutte le eventualità.
Non possiamo pianificare l’imprevedibile ma possiamo studiare cosa è successo a chi ci assomiglia per trarne lezioni.

5) Se dovessi riscrivere questo libro tra dieci anni, cosa speri di dover cambiare per forza?

Onestissimo: spero che tra dieci anni nessuno abbia bisogno di questo libro perché ci sono dei corsi gratuiti di formazione da parte di uno stato che capisca che rendere le proprie aziende efficienti è rendere oliato e performante il motore dell’economia e del well being di tutti noi. Spero che ci sia – anche solo una settimana, magari – un corso obbligatorio per chi apre impresa e spiegare i fondamenti di ciò che aspetta tutti noi.


Sarebbe un segnale straordinario.

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