In che senso Google penalizza le AI

AI AI, sembra proprio che dando questo titolo attirerò un’enorme quantità di critiche da parte dei colleghi che leggono e (giustamente) riportano le comunicazioni che arrivano da Google.

E allora diciamo subito che quei colleghi hanno ragione, perché di fatto Google non penalizza il testo prodotto con AI… però allo stesso tempo lo penalizza, ma solo a certe condizioni. Vediamo quali.

Questo post, nasce a partire da un post arrivato qualche giorno fa nel gruppo dei Fatti di SEO che riporto integralmente, tanto è breve:

Ciao Ragzzi, volevo chiedervi se avete esperienze con la penalizzazione di testi scritti con ChatGPT o altre AI.

La risposta “corretta” a questa domanda è che Google NON penalizza a prescindere il testo sviluppato con AI. Il problema è che semmai Google gli toglie visibilità dopo poco, perché non ci trova niente di utile o di diverso rispetto alle migliaia di pagine che trattano gli stessi argomenti. E se col passare del tempo Google rileva che i tuoi testi non aggiungono niente a quelli già proposti da tutti, allora il tuo sito perderà via via rilevanza, posto che prima ne avesse.

Cosa capisce Google del testo in pagina?

Questo è il vero nodo su cui tanti si sono scassati la testa per mesi. Allora diciamolo una volta per tutte: Google non è assolutamente in grado di dire se ciò che hai scritto in pagina è giusto o sbagliato. Se ad esempio hai un blog sulle acconciature, puoi tranquillamente spacciare un long bob con un caschetto alla francese – certo io che parlo di capelli è bello – ma Google non ti abbasserà il ranking in virtù dell’errore, semplicemente perché non è in grado di capirlo. Google vede solo che stai parlando di long bob e di caschetto alla francese in una pagina che evidentemente tratta di acconciature. Puoi anche riportare mode o collezioni dell’anno precedente spacciandole per ultime tendenze, suscitando l’ira di chi ne capisce sul serio, ma non quella di Google!

Ciò che invece Google “capisce” è il topic, l’argomento generale, ciò di cui stiamo parlando. In particolare, scomponendo il testo nei termini che lo compongono, riconosce i sottargomenti e da questi individua il contesto, vale a dire che riesce a capire se la pagina tratta l’argomento in chiave commerciale, informativa, aziendale e via dicendo, determinando l’intento di ricerca cui la pagina si candida a rispondere. La rilevanza, per quanto riguarda il testo, non dipende dunque dal dire cose corrette, ma dal tener dentro i sottoargomenti giusti per il contesto giusto.

Ora il problema è che chi utilizza le AI per generare sottoargomenti e poi sviluppare i testi, generalmente dimentica di fare due cose:

  1. guardare le serp e vedere che tipo di siti web Google lista per rispondere a una query di interesse e in base a questi capire qual è l’intento di ricerca predominante, a patto che ce ne sia uno solo;
  2. integrare i dati che vengono fuori dai tools con altre informazioni che invece dai tools NON VENGONO.

Il risultato è una enorme (ENORME) quantità di pagine che vanno a occupare la “terra di mezzo”, un continente virtuale i cui confini ormai si estendono a dismisura, popolato da pagine web tutte “giuste”, almeno per quanto Google ne può capire. I contenuti in questa immensa fascia, sono molto più soggetti di prima – giacché son tanti – alla spinta (e caduta) data dalla freshness. I siti web che finiscono in questo calderone finiranno col beneficiare di una visibilità da “inciampo” che potrà essere guadagnata e persa in qualunque momento. Solidità ZERO.

Le promesse dell’AI

Là fuori in questi mesi, le startup basate su AI che promettono di automatizzare TUTTO il tuo lavoro, stanno spuntando come i funghi dopo un temporale. Ora il problema non è usarle, perché è vero che Google non penalizza questo genere di contenuti. Il problema è cadere nel tranello del lavoro “smart”, è l’idea di poter svoltare con due click e l’abbonamento a un tool che costa 100 euro al mese. È restare inchiodati alla logica vecchia dei contenuti che otterranno un buon posizionamento e che tanto basterà a farsi conoscere in quanto brand. Ma nemmeno per idea, semmai tanto basterà per rendere visibili i tuoi contenuti a persone che non sapranno chi sei, nemmeno dopo averti letto per anni.

La questione paradossalmente non è neanche strettamente legata all’uso dell’intelligenza artificiale, perché conosco tanti magazine che hanno perso terreno pur avendo solo testi originali scritti da persone competenti e ciò mi porta a maggior ragione a sostenere che non è l’AI ad essere penalizzata, ma è appunto penalizzante la condizione di quei siti web che vengono infilati in quella gigantesca fascia mediana che nulla aggiunge e nulla toglie.

Si tratta di capire tutto il resto delle cose che hai tralasciato mentre pensavi ai contenuti.

Il testo, non c’entra.

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