Perché ti serve una buona narrazione (tranne che in pizzeria)

La settimana scorsa mi sono trovato a guardare un lungo video in cui Alessandro Baricco parla di narrazione descrivendola sostanzialmente così: «togli i fatti dalla realtà, quello che rimane è lo storytelling».

Baricco divide la realtà in due, ponendo da un lato la realtà materiale, i fatti, dall’altro la narrazione che li accompagna, al di là della quale la realtà non può esistere. L’esempio è quello di una moneta ai tempi di Alessandro Magno. Una moneta è un dischetto di metallo. Può essere un metallo particolare o comune, ma non è tanto il dischetto in sé ad avere valore, quanto l’effige del re con cui è marchiato. Puoi comprare quello che vuoi se hai un dischetto metallico che porta impressa la faccia di colui che comanda.

L’effige non è un fatto, ma una narrazione. Il fatto è il dischetto metallico che in virtù dell’effige diventa una “moneta”.

 

Dalla narrazione al brand

Portata ai giorni nostri e attualizzata al lavoro di chi fa comunicazione, l’effige di Alessandro il Macedone si trasforma nel “brand” che si porta dietro il valore di una narrazione tale da giustificare un prezzo più alto rispetto a quello di prodotti simili, ma privi di miti fondativi o cose così. Una Mercedes costa di più perché al di là di essere una signora automobile offre la migliore assistenza possibile al cliente. La stessa cosa è per i computer Apple (Jobs guidava una Mercedes) che pure hanno un customer care organizzatissimo. Certo, lo paghi tu, ma ne se felice.

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Un iPhoneX è meglio di un OnePlus6? Non è questo il punto. I due ottimi smartphone sono “fatti”. Dietro questi fatti c’è una disparità di narrazione: Apple è stata fondata in un garage da due “pirati” della silicon valley, OnePlus dal cinese Pete Lau, precedentemente vicepresidente di OPPO. iPhone utilizza un sistema proprietario unico e perfettamente integrato con gli altri dispositivi Apple. Fa tutto lui. OnePlus utilizza Android, sistema (sempre chiuso ma) più personalizzabile e condiviso da tutte le altre case produttrici, quindi Apple è unica. Apple ha punti vendita ovunque e il livello di assistenza al cliente è praticamente lo stesso di Mercedes, salvo che se l’iPhone ti si spegne per strada non ti mandano un Genius col carro attrezzi, ma va beh.

Come vedi non ho espresso fatti, solo narrazioni, comunicazione che gira intorno ai fatti e li rende reali. Sono le narrazioni che ci fanno scegliere cosa comprare, soprattutto cosa amare. Senza narrazione non c’è brand e senza brand devi giocartela sul prezzo. E se devi giocartela sul prezzo sei fregato.

 

La parabola discendente del Partito Democratico

La narrazione, come un essere vivente nasce, cresce, declina e muore. Per quanto ti sembri curioso, un giorno perfino McDonalds e CocaCola finiranno nel dimenticatoio, quindi prendi atto che qui non parliamo di politica, cioè dei fatti legati alla gestione della cosa pubblica e ragiona con me della crisi di consensi del Partito Democratico.

Quando andavo a scuola esistevano le categorie contrapposte di destra e sinistra. L’idea di dividere l’elettorato associando il colore blu alla destra e rosso alla sinistra è una semplificazione estremamente efficace per innescare la divisione tra tifoserie che ha tenuto banco per 60 anni. All’improvviso una narrazione più attuale, figlia di circostanze storico culturali, ha dissolto la contrapposizione tra destra e sinistra sostituendola con quella tra vecchio e nuovo. Il primo grande beneficiario è stato insospettabilmente Silvio Berlusconi nei primi anni ’90, quando ancora le categorie narrative di destra e sinistra erano forti, ma si sa, le rivoluzioni richiedono tempo. Uno degli ultimi beneficiari di questo nuovo ordine narrativo è stato Matteo Renzi, il “rottamatore”, giovane, fresco, portatore di un vento nuovo il cui sibilo “shish” ancora risuona nell’aria.

E il partito democratico? Ormai gli rimangono solo i fatti. Nessuna narrazione dietro al partito e nessuna narrazione dietro ad alcuno dei suoi esponenti di spicco. Il nulla. Se i fatti da soli non fanno la realtà, il Partito Democratico semplicemente non esiste. E quindi? Gli si cambia nome? Non sarebbe certo la prima volta, forse sarà l’ultima, chissà.

 

La migliore pizza del paese

Qui nel paese dove vivo c’è una pizzeria gestita da napoletani. Fanno una pizza davvero squisita, ma trovando insopportabile l’idea che di prassi emettano lo scontrino fiscale solo su richiesta, ho deciso di cambiare pizzeria, così l’altro ieri sera sono andato a prendere due pizze da asporto altrove. Entrando in pizzeria sono stato accolto da questi due autoctoni, la moglie cassiera, il marito pizzaiolo. Ordinate le pizze e ottenuto subito lo scontrino mi sono seduto ad aspettare.

Mentre ero là per i fatti miei, il pizzaiolo ha cominciato a raccontarmi dell’impasto particolare, fatto con una piccola quantità di yogurt per ridurre il più possibile l’utilizzo del lievito. «Perché c’è una bella differenza tra uno che fa le pizze e un pizzaiuolo», mi diceva orgoglioso mentre mi raccontava degli inizi col padre a 14 anni (ora ne ha 44). Per farla breve, nei 5 minuti necessari a farmi le pizze, me le ha vendute in tutti i modi possibili, senza risparmiarmi una certa saccenza, ma mettendomi comunque addosso una gran curiosità di assaggiare il risultato di 30 anni di esperienza tra impasto e forno a legna.

Verdetto: il fondo a tratti era bruciato e per dirla tutta aveva la consistenza di una suola di scarpa. Ne ho ricavato due lezioni importanti, la prima è che lo storytelling trasforma un prodotto qualunque in uno straordinario, ma se il prodotto fa proprio schifo non c’è storytelling che tenga.

La seconda è che mi tocca trovarmi un pizzaiolo bravo che paga le tasse.

Ce ne sarà rimasto uno, no?

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